Dopo le curiosità sugli arrosticini abruzzesi, scendiamo ancora più a Sud per parlare di una prelibatezza che sa unire storia, tradizione e bontà: il pane di Matera.
È molto difficile prepararlo con successo al di fuori della provincia di Matera, e per un motivo specifico: è fatto esclusivamente con la semola rimacinata di grano duro, ottenuto dalla miscelazione di diversi tipi di frumento rigorosamente coltivati sulla collina materana.
Impastato con il lievito madre naturale, il pane di Matera – chiamato anche cornetto per la sua forma tipica – si conserva fino a dieci giorni. In antichità, infatti, le famiglie lo preparavano in casa, portandolo a cuocere al forno del paese in grandi quantità, per averne una buona scorta per i giorni a venire.
Pensate che fino alla fine del 1950 sulla pasta da infornare le famiglie imprimevano con un timbro in legno il proprio marchio per riconoscere la pagnotta dopo la cottura. La credenza era che tramite il timbro si trasferissero al pane i valori della fecondità, della forza e della difesa (molti di questi piccoli oggetti sono oggi conservati ed esposti al Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola di Matera).
I resti dell’impasto non andavano mai sprecati: si cucinava infatti il “ceccio fritto” passando i residui della lievitazione nello zucchero. Dal pane avanzato derivano poi altri piatti tipici come la famosa “cialledda” fredda o calda, conosciuta anche come “colazione del mietitore” perché veniva preparata dai braccianti che si apprestavano a una giornata di lavoro duro nei campi di grano. Ormai raffermo, il pane vecchio veniva tagliato a pezzi, passato nel pomodoro e condito con origano e sale, a cui, in alcuni casi, si aggiungevano anche olive o cipolla, in base alla disponibilità.
Insomma, un pane dall’aspetto e dal sapore inconfondibili, fatto da secoli con materie prime locali, all’insegna di sostenibilità e qualità.