L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso

Articolo della dott.ssa Monica MartinoMonica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari
e Food Blogger.

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Alla scoperta delle cucine del mondo

L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso.

Secondo Max Weber, il cibo è uno dei fulcri intorno ai quali si sono sviluppate comunità e di conseguenza etnie, culture e religioni. Una realtà intrinsecamente anche politica, capace di modellare identità e tramandare memorie condivise. Nello stesso tempo crea anche “confini”: la diversità alimentare, specialmente se legata a dettami religiosi, può generare identità distinte e separate ma anche una pluralità di scelte e pratiche “interna” a ciascuna comunità, andando quindi al di là di qualunque stereotipo. Dello stesso avviso anche altri studiosi come Roland Barthes, Claude Levi-Strauss, Mary Douglas, Pierre Bourdieu e Jack Goody.

Uno degli esempi di stretta correlazione tra cibo e precetti religiosi lo troviamo nella religione ebraica, una delle più antiche tra le religioni monoteiste. La religione ebraica può essere definita come un’ortoprassia, un agire secondo le regole, e si manifesta attraverso la riflessione spirituale e le azioni quotidiane, permeando ogni aspetto della vita compresi i comportamenti di consumo: il cibo che si mangia, i momenti in cui ci si lava, i vestiti che si indossano, il modo di affrontare il proprio lavoro, i rapporti con il prossimo… tutto questo e altro diventano un’espressione dell’identità ebraica non meno della preghiera o delle celebrazioni festive. Queste regole, tra cui spiccano importanti norme igieniche e alimentari, si sono mantenute praticamente immutate nel corso dei secoli.

A cavallo tra lo scorso anno e quello attuale si è molto parlato della serie televisiva israeliana “Shtisel”, centrata su una famiglia di ebrei ultra-ortodossi che vive nel quartiere di Geula a Gerusalemme, riscontrando un ottimo successo di ascolti anche in Italia e un conseguente interesse verso la cultura e le tradizioni ebraiche. In questo articolo approfondiremo il rapporto degli ebrei osservanti nei confronti del cibo con i richiami ai precetti religiosi che influenzano la scelta degli alimenti e la loro preparazione.

shtisel-cucina

Norme igieniche e alimentari

Gli ebrei rappresentano uno dei pochi popoli che hanno conservato la propria identità grazie, probabilmente, alla religione che detta una serie di norme e principi volti a regolare tutti gli aspetti della vita quotidiana, tra cui le norme igieniche e alimentari, che si sono mantenute immutate nel corso dei secoli.

La fonte di queste norme è la Bibbia, o meglio l’Antico Testamento, testo fondamentale della religione ebraica. All’interno di questo una parte importantissima è la Toràh o Pentateuco, a sua volta composta da cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), il nucleo della legge della religione ebraica. Molto importante è anche il Talmud, dove sono riportati i commenti e le interpretazioni elaborati dai Maestri sul contenuto della Toràh con approfondimenti riguardo il corretto comportamento da seguire.

La religione ebraica, quindi, non è solo culto della salute spirituale e orale ma anche, in maniera non secondaria, della salute fisica. Le leggi alimentari costituiscono un vero e proprio sistema a sé stante e non un semplice un elenco di cosa fare, mangiare e relative restrizioni. La Bibbia indica in modo chiaro quali alimenti mangiare e cosa non deve essere utilizzato per trattare tali alimenti e l’ebraismo insegna a non sottovalutare nemmeno i più piccoli atti e gesti apparentemente insignificanti, perché attraverso questi gesti che l’ebreo praticante vive la propria identità.

L’alimentazione diventa quindi un rito, un modo di essere ed agire in rettitudine, uno strumento per aspirare alla perfezione e di affermazione culturale e non più soltanto un modo per sopravvivere o una mera necessità fisiologica. Le leggi alimentari del popolo ebraico sono tra le più antiche che la storia possa ricordare e tradizione vuole che queste siano state consegnate ai discendenti di Abramo da Dio e ancora oggi scrupolosamente osservate. L’insieme di queste leggi è definito nell’accezione Kasherut, ovvero “adatto, giusto, appropriato”.

Gli ebrei indicano come Kosher tutti quegli alimenti che sono in accordo con le leggi del Kasherut. Quindi la natura degli alimenti consumati e che, assimilati, diventano parte del corpo stesso possono determinare le caratteristiche dell’individuo; di conseguenza, assumere cibi ‘puri’ (Kosher) permette di mantenere corpo, mente e spirito sani. I cibi non-Kosher sono invece definiti Tarefá, “impuro, sporco, proibito”.

Comunque, in casi estremi, anche il cibo proibito può essere assunto purché nel rispetto dei principi di moderazione ed equilibrio che dominano l’approccio ebraico all’alimentazione, quindi l’assunzione di un alimento severamente vietato presuppone solamente uno stato di assoluta necessità. Le regole stabiliscono che cosa è o non è alimento Kosher sono numerose, rigidissime e scrupolose.

kosher

Gli alimenti permessi nella religione ebraica sono i seguenti:

  • gli animali quadrupedi terrestri ruminanti sani, uccisi rapidamente e sottoposti ad una macellazione rituale;
  • i pesci con pinne e squame;
  • la frutta, la verdura, i cereali e tutti i loro derivati;
  • le uova;
  • il formaggio sottoposto a controllo rabbinico per accertarsi che sia prodotto da caglio vegetale oppure di animale macellato secondo le regole;
  • il vino prodotto da un Ebreo secondo una tradizionale procedura.

La regola alimentare del Kasherut è in realtà molto più complessa di quanto sia possibile ricavare da questo breve elenco, soprattutto per ciò che concerne la preparazione e il consumo di carni e latticini, al punto che diversi studiosi delle Sacre Scritture avrebbero intravisto in questa complessità un chiaro messaggio di carattere salutistico: scoraggiare il più possibile l’assunzione di proteine animali a favore di alimenti vegetali, ritenuti più vantaggiosi per la salute e lo spirito dell’essere umano.

I divieti fondamentali

Il fulcro delle regole alimentari ebraiche sono cinque divieti inderogabili, che modellano l’intero approccio alla nutrizione e sui quali si indicano le attività di preparazione degli alimenti sia in casa che a livello industriale, come ben spiegato da Riccardo Di Segni nella sua “Guida alle regole alimentari”:

  1. Il divieto di nutrirsi del sangue: nella religione ebraica il sangue ha un elevatissimo valore simbolico perché rappresenta il soffio vitale; ingerirlo vuol dire appropriarsi dell’esistenza di una creatura, che appartiene solo a Dio, ed esporsi alle punizioni divine e ridursi allo stato animale agendo secondo istinti primordiali, replicando ancestrali pratiche idolatriche che usavano il sangue per ingraziarsi le divinità degli inferi. Tale divieto comunque riguarda solo l’impiego del sangue in cucina e non per altri scopi, in primis quelli medici.
  2. Il divieto di cibarsi di alcune parti del grasso dei quadrupedi domestici: risale all’obbligo dell’epoca del Tempio di destinare a uso esclusivamente liturgico alcune parti degli animali sacrificati per ribadire, attraverso la loro sottrazione al consumo, la limitatezza del dominio umano sulle creature viventi; tale divieto riguarda in particolare
    1. il consumo del grasso addominale che ricopre alcune parti del tubo digerente, la superficie diaframmatica, la milza e il fegato
    2. della capsula adiposa renale (il grasso che avvolge i reni)
    3. il grasso dei fianchi

Può invece essere consumato il grasso posto all’interno degli organi, delle masse muscolari o tra i muscoli e il grasso degli animali selvatici. Tale divieto impone agli individui di prestare attenzione alla selezione degli animali per mantenere alto il livello di lucidità, soprattutto quando il cibo deriva da un’azione violenta, affinché l’uomo non si abitui alla crudeltà dell’atto e sia consapevole del sacrificio dell’animale e del privilegio ricevuto dal Signore.

  1. Il divieto di consumare membra tolte ad animali viventi: tale regola non è esplicitamente contemplata dalla Torah scritta, ma appartiene alla consuetudine e richiama la prima norma dettata da Noè ai sui figli dopo il diluvio universale; si mira ad arginare gli atti di mutilazione degli animali, anche precedenti alla macellazione, e impone il rispetto per la sofferenza inflitta e per la vita. Tale divieto trova applicazione nei confronti dei quadrupedi e dei volatili, non delle creature acquatiche.
  2. Il divieto di mangiare il nervo sciatico: riveste una grande importanza perché ricorda la lotta, misteriosa e gloriosa, di Giacobbe contro un’entità che al termine del combattimento lo benedice e lo riconosce come Israele. In quest’ottica ha la funzione di mantenere inalterato il ricordo delle offese subite dal popolo ebraico che lo hanno scalfito ma non ne hanno compromesso la sopravvivenza. Tecnicamente il divieto si applica ai quadrupedi e riguarda entrambi i lati del nervo sciatico e del grasso che lo circonda. L’escissione del nervo sciatico è un procedimento molto difficile e complesso che viene effettuato da una specifica figura professionale (menaqqèr). Vista la particolarità dell’operazione in molte regioni si opta per offrire ai consumatori ebrei solo i quarti anteriori, destinando il resto ai non ebrei.
  3. Il divieto di mischiare (cucinare e/o mangiare insieme) carne e latte: mescolare cibi besarì (di carne) e halavì (di latte), ripetuto tre volte nella Torah si esprime nel non poter mangiare insieme carne e latte, cucinare insieme carne e latte, anche se non destinati al consumo e trarre qualsiasi giovamento dalla mescolanza fra carne e latte. La proibizione si presta a numerosi.

Ciascuno di questi divieti, come si può ben vedere, ha una sua motivazione ben spiegata e nel complesso operano come monito anche etico per la comunità che, nel sacrificare altre creature per la propria sopravvivenza, deve comportarsi in modo consapevole, rigoroso e rispettoso della sofferenza inflitta. La disciplina alimentare interviene, dunque, per reinserire tali azioni nella loro giusta dimensione.

Come tutti i precetti ebraici, che spronano a rivestire di sacralità ogni atto della vita quotidiana, anche il cucinare kasher funge da stimolo alla ricerca interiore, favorendo un miglior rapporto nei confronti del suo prossimo e rispetto per la natura e gli animali.

La Certificazione Kosher

Le restrittive e ferree norme in ambito alimentare per la religione ebraica comportano la necessità di garantire ai consumatori la conformità di cibi pronti a tutte queste prescrizioni.

Per questo motivo, è necessario che le aziende si devono dotare di un’apposita certificazione, riconosciuta a livello internazionale, che garantisca ai fedeli che i prodotti che vengono processati e venduti possano essere consumati in tranquillità senza la paura da parte dell’ebreo praticante di violare le prescrizioni della propria religione.

L’ebraismo ha bisogno di una certificazione che attesti che i cibi siano conformi alle prescrizioni della Kasherut. Infatti, secondo Certificazione Kosher: “La certificazione Kosher è un servizio offerto alle aziende alimentari orientate al mercato nazionale ed internazionale. Ottenere il certificato Kosher significa produrre alimenti idonei al consumo e conformi alle norme di alimentazione Kosher. […] Questa certificazione risulta essere uno strumento indispensabile per rispecchiare ed indicare la trasparenza nel prodotto che ha conseguito il Kosher. Il consumatore è informato che il prodotto certificato ha sostenuto e superato con successo le rigide procedure di ottenimento. Un prodotto certificato Kosher è quindi, la fase finale di una accurata scelta degli ingredienti utilizzati, con la garanzia della totale assenza di rischi di contaminazione incrociata. Per questo motivo, i consumatori Kosher sono in continuo aumento, appartenendo a tutti i ceti sociali e religiosi, compresi gli intolleranti a diversi alimenti. Un prodotto certificato KOSHER PARVE, è una garanzia per gli intolleranti al latte ed alla carne, così come sarà una garanzia per i musulmani. Un prodotto certificato KOSHER PASSOVER, è una garanzia per i celiaci”.

Anche Italy Kosher Union approfondisce ulteriormente l’esigenza della certificazione: “Attualmente, con i mutati ritmi giornalieri che costringono spesso a pasti fuori casa, seguire le complesse procedure di preparazione del cibo secondo le leggi sarebbe piuttosto complicato, pertanto è nata la necessita di prodotti già pronti all’uso certificati Kosher. Tale certificazione è applicabile ad una gran varietà di prodotti, dagli ingredienti da cucina come l’olio d’oliva ad alimenti confezionati, fino ai prodotti dietetici. Essa viene rilasciata da apposite associazioni Rabbiniche, che si avvalgono anche della collaborazione di esperti, ed è indicata sul prodotto da un apposito simbolo o dicitura che identifica il Rabbino certificatore. Perché un prodotto sia certificato Kosher, tuttavia, è necessario che esso soddisfi rigorosissimi standard di qualità e che tutte le procedure di produzione e confezionamento nonché ogni singolo ingrediente utilizzato nella sua preparazione siano conformi alle restrittive leggi del Kasheruth. Il rispetto di queste severe regole [è] verificato periodicamente, da esperti, sul [luogo] di produzione e la certificazione (che ha una scadenza e va periodicamente ripetuta) può essere revocata in qualsiasi momento. L’estrema rigidità di queste norme costituisce una tutela per il consumatore indipendentemente dalla sua religione e, nel tempo, hanno reso la certificazione Kosher un marchio di qualità riconosciuto in tutto il mondo. In alcuni paesi come l’America, infatti, i maggiori consumatori di prodotti Kosher non sono Ebrei, ma persone di qualsiasi religione che ricercano in tale marchio una garanzia di qualità, genuinità e purezza”.

La certificazione kosher riguarda esclusivamente il cibo (dalle materie prime ai metodi di produzione al prodotto finito) e dev’essere rilasciata esclusivamente da un ente rabbinico che appone il marchio del rabbino certificatore. Tale certificazione è inoltre periodica e alla scadenza va rinnovata. Tra gli enti certificatori in Italia abbiamo Kosher Italy, il quale ha un programma di certificazione kosher riconosciuto a livello internazionale. La presenza di un ente in Italia è dovuta anche se non soprattutto alla presenza praticamente costante nel tempo della comunità ebraica dal Nord fino al Sud del nostro Paese, isole comprese.

Bibliografia

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Cinganotto M. Le certificazioni nel settore alimentare: la valorizzazione della filiera. Università degli Studi di Padova, 2013
Decimo L. Le influenze religiose nel mercato di beni tra libertà giuridiche ed economiche. Calumet, 2018
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