Un arbusto dalla storia secolare, tipico della macchia mediterranea. La raccolta delle bacche di mirto inizia a novembre e dura fino a gennaio.
Dal sapore ricco e forte, il mirto era uno dei principali condimenti nell’Antica Roma, mentre oggi è poco utilizzato, nonostante meriti decisamente più attenzione in cucina.
Il nome “mirto” deriva dalla mitologia greca e in particolare dalla ragazza chiamata Myrsìne, trasformata in cespuglio dalla dea Atena dopo aver battuto un uomo in una gara sportiva. Per questo motivo il mirto è da sempre associato alla fertilità e al vigore femminile e veniva utilizzato durante i giochi olimpici per adornare le corone dei vincitori. Oltre alla fertilità, il mirto è legato a Venere, poiché Afrodite si nascose proprio dietro un cespuglio di mirto dopo essere emersa dalla schiuma del mare. Da qui l’utilizzo greco-romano del mirto come simbolo di bellezza durante i matrimoni. La pianta del mirto è nota anche come pianta officinale grazie alle sue proprietà astringenti, antinfiammatorie, antiossidanti e balsamiche.
Il mirto nella storia
Dopo anni di gloria, il mirto venne messo da parte e confinato alla cucina popolare sino al XVI secolo a causa dell’arrivo del pepe, la spezia orientale giunta per la prima volta in Europa con Alessandro Magno. Il mirto, però, sopravvisse all’interno della cucina italiana, soprattutto in quella sarda. Già conosciuto in epoca romana come “vino di mirto”, il liquore a base di questa bacca inizia ad affermarsi nella formula ad oggi conosciuta solo nell’Ottocento. Il successo commerciale al di fuori del Sardegna arrivò, invece, a partire dagli anni ’70.
Il mirto in cucina
Nella cucina sarda, le bacche di mirto sono utilizzate per creare e insaporire tante pietanze. In primis il celebre porceddu, arrostito utilizzando un mix di mirto, ginepro, alloro e legno d’ulivo, servito poi su rami di mirto. Se amate i dolci e i gusti intensi e decisi, provate la crostata con la marmellata ricavata dal mirto! Il liquore di mirto è inoltre perfetto con i gueffus, i tipici bocconcini di pasta di mandorle diffusi in varie aree dell’isola. Passando al pesce, invece, il mirto è presente anche nella ricetta del gambero rossoall’algherese. In Sardegna è molto comune anche il pollo, la quaglia o il fagiano “alla griva”, bolliti e lasciati riposare una giornata intera sotto un letto di foglie e bacche di mirto.
Il mirto fuori dalla Sardegna
Fuori dall’isola sarda, i rami di mirto vengono utilizzati per produrre la mortedda, o “mozzarella co’a mortedda”, un tipo di mozzarella ricavata da latte di mucche di razza podolica che i pastori del Cilento “confezionavano” nei ramoscelli di mirto e legavano con la ginestra, per trasportarla più agevolmente. Nel territorio pugliese, è soprattutto nel Salento e a Taranto dove si concentra maggiormente l’utilizzo del mirto: si usa al posto del pepe per accompagnare la carne alla brace, proprio come accadeva in epoca romana. A volte, invece, i fiori vengono utilizzati per impreziosire le macedonie. Le bacche di mirto, insieme al finocchio selvatico, sono utilizzati per preparare le olive nere in salamoia e all’acqua. Tra le altre ricette che prevedono l’utilizzo del mirto, vi sono la gallina al mirto, le quaglie al mirto, il coniglio con aglio e mirto, il carrè d’agnello al mirto e l’agnello al mirto e purè di fave.