La fine del lockdown è vicina e mentre le aziende si organizzano per accogliere i loro dipendenti attenendosi a tutte le regole in grado di garantire la sicurezza dei propri lavoratori, noi dipendenti ci domandiamo (tra le tante e tante cose), ma come ci organizzeremo per la nostra pausa pranzo? Potrò ancora andare a pranzo in compagnia dei miei colleghi? Avrà senso una pausa pranzo di una o più ore? La mensa aziendale riaprirà?
In queste settimane si susseguono le tante operazioni “creative” rispetto a come la ristorazione dovrà gestire la Fase 2. Dalla soluzione dei tavolini al ristorante circondati da barriere di plexiglass, all’obbligo dei locali (anche quelli piccoli) di garantire il giusto distanziamento sociale. Sul fronte “supermercati e la fase 2”, vi ho già ampiamente raccontato nel precedente articolo.
Il timore è che, dopo il Coronavirus, la pausa pranzo si traduca in un momento di grande stress per i dipendenti.
Il rischio è che si ricorra all’intramontabile pranzo portato da casa, che poi, tradotto, significa ricorrere al solito panino mangiato davanti al pc (o peggio ancora agli snack del distributore), con tutti gli squilibri nutrizionali che ne conseguono.
Non dimentichiamoci poi che il 14% degli italiani non fa colazione, il 26% solo di tanto in tanto, il più delle volte accontentandosi di un caffè al bar o ai distributori automatici… e se pensiamo alle code a cui saremo costretti per prendere la metro, suppongo che il quadro sia destinato a complicarsi!
Una soluzione potrebbe essere il delivery, che ha letteralmente preso piede durante la quarantena. Tuttavia, resta da affinare la modalità di pagamento. Dove non arrivano i vari Deliveroo, Glovo o Just Eat, il pagamento digitale è ancora impiegato poco, o solo tramite Pos. Garantire agli utenti forme di pagamento che permettano di ridurre ancora di più il contatto, come Paypal, direttamente da app o tramite servizi come Satispay, potrebbe facilitare ancora di più le cose per i consumatori.
Le mense prese d’assalto in pausa pranzo così come le conosciamo noi, saranno solo un vago ricordo. Esistono già mense aziendali che offrono la possibilità di prenotare il proprio pasto e di pagare con borsellino elettronico gli acquisti. Pasti preparati in centri cottura con metodi di sicurezza all’avanguardia. Resterà da capire come disporre gli spazi in questi casi, in modo che non avvengano assembramenti sulle postazioni disponibili per mangiare. Una testimonianza ci arriva dal nostro mondo: Cirfood, impresa cooperativa, con sede a Reggio Emilia, attiva nella ristorazione collettiva, commerciale e nel welfare aziendale, ad esempio, ha puntato tutto sull’innovazione per gestire questa situazione, ma nel contempo, puntando anche sui principi di benessere e socializzazione che devono caratterizzare la pausa pranzo.
In questo senso, il management, ha pensato di segnare sul pavimento le postazioni consigliate per garantire la giusta distanza di sicurezza tra le persone, di allungare l’orario di attività del ristorante aziendale per scaglionare gli ingressi, di dotarsi di una app che permetta di gestire il flusso degli accessi e gli ordini, di garantire la presenza di maggior personale al servizio della clientela.
E arrivano anche nuove formule, come Streeteat Delò, una valida alternativa a mense e bar o al classico food delivery.
Il concept prevede un contenitore mobile di 48 locker refrigerati, posizionabile in qualsiasi ambiente nelle aziende che non hanno una mensa e che vogliono assicurare un pasto ai dipendenti senza che questi siano costretti a uscire dal luogo di lavoro. Gli iscritti al servizio possono scegliere via app tra 10 proposte di piatti consegnati quotidianamente e consumarli quando e dove vogliono. Ogni box è personale e il cibo è confezionato in ATP, ha una shelf life di una settimana e viene proposto con una bibita e un kit di piatti e posate compostabili.
E voi, che soluzione preferite?
L.P.