È uno dei simboli della pasticceria partenopea, ma non tutti sanno che la storia del babà ha avuto inizio da tutt’altra parte, a Luneville, ai confini con la Germania.
C’era una volta un re polacco dal nome Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia, il quale era solito dilettarsi nell’invenzione culinaria ma, essendo privo di denti, era impossibilitato a mangiare il dolce austriaco tipico dell’epoca, il gugelhupf, che egli trovava troppo asciutto. Decise allora di ammorbidirlo nel madeira.
Ma di strada, il babà, dovrà ancora farne molta…
Da Luneville il babà sbarcò a Versailles: la figlia di Stanislao, Maria Leszczyńska, aveva infatti sposato il re di Francia, Luigi XV, portandosi con sè il pasticciere del padre, il polacco Nicolas Stohrer, a cui si deve la tipica forma a fungo e la bagna nel rum. Negli anni ’30 del XVIII secolo, infatti, a corte impazzava la moda del rum giamaicano, che ben presto sostituì il madeira nel babà. La cosa non piacque molto al buon Stanislao, il quale in una lettera a Voltaire scrisse: “Lo scorso mese mi hanno presentato un babà, così lo chiamano ora, talmente inzuppato di liquore che gli ho dato fuoco. Perde di leggerezza e di memoria”.
Un’altra storia racconta che il re Luigi XV, dal pessimo carattere, aveva scagliato il dolce contro una credenza, fracassando una bottiglia di rum. Questa andò a inzuppare il dolce e Stanislao allora lo assaggiò, trovandolo superbo.
Il nome “babà”
Anche l’origine del nome originale, babka, è dibattuta: secondo alcuni, re Stanislao era un appassionato lettore delle “Mille e una notte”. Tra i tanti personaggi di quella sterminata raccolta di novelle, fu maggiormente colpito dal protagonista del racconto di “Alì Babà e i quaranta ladroni”. Così, quando inventò quel suo dolce morbido e soffice, tutto intriso di rum, decise di intitolarlo al suo eroe preferito.
Un’altra versione, forse più plausibile, fa riferimento alla forma delle gonne che le mature nobildonne di corte usavano a quel tempo (per l’appunto babka in polacco). Certo è che questo nome divenne babà in francese, e, più tardi, babbà in napoletano.
Come è arrivato il babà a Napoli?
Il babà come lo conosciamo noi, è simbolo del filo diretto con cui Napoli è sempre stata legata a Parigi negli ultimi tre secoli. Un legame nato precisamente quando Maria Antonietta sposò Luigi XVI, mentre Maria Carolina, la sorella, si legava a soli sedici anni (1768) a Ferdinando IV di Borbone. Tra le due maturò una rivalità, di cui probabilmente la prima non ha avuto modo di accorgersi. Tuttavia, la seconda coltivò la competizione durante il suo esilio “solare” mandando in continuazione emissari a Parigi per scoprire le ultime tendenze dei sarti e degli chef dell’epoca: nasce così l’epopea del gattò, della besciamella, del gratin, degli sciu e di quei termini francesi e francofoni con cui la cucina napoletana conosce l’influenza d’Oltralpe prima che nel resto della penisola.
Il resto, viene da dire, è storia di oggi: già nel 1836, ci ricorda Flavia Amabile nel suo testo, il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Angeletti per Maria Luigia di Parma. Status symbol, poi tradizione, il babà entra nelle case di tutti, segna la pasticceria del Regno delle due Sicilie e poi dell’Italia.