“Influenza dei fattori dietetici nella prevenzione della Malattia Celiaca: possibilità di indurre la tolleranza al glutine nei soggetti geneticamente predisposti.”
E’ giunto a termine il primo, grande, programma europeo di ricerca sull’influenza della storia alimentare nel condizionare l’insorgenza della celiachia negli individui geneticamente predisposti.
L’obiettivo di questo studio è stato di tentare di ridurre significativamente il numero di persone affette da celiachia in Europa, attraverso lo sviluppo di strategie di prevenzione primaria della celiachia.
Per raggiungere questo scopo sono stati valutati diversi fattori:
1) l’influenza della storia alimentare dei primi mesi di vita sulla prevenzione e lo sviluppo della celiachia;
2) la sua relazione con fattori genetici (precocemente diagnosticabili), immunologici e ambientali;
3) le differenti abitudini alimentari nei primi mesi di vita, includenti l’epoca di introduzione del glutine e l’allattamento al seno materno, nei bambini europei.
I paesi che, a vario titolo, sono stati coinvolti nello studio, sia come centri di ricerca che impegnati nell’esecuzione delle indagini di laboratorio, sono: Olanda, Italia, Svezia, Polonia, Spagna, Norvegia, Belgio, Germania, Israele, Croazia.
È con profondo orgoglio che riconosciamo che il partner italiano della ricerca è stato rappresentato dal Dipartimento di Pediatria dell’Università di Napoli “Federico II” che ha coordinato il reclutamento dei pazienti partecipanti allo studio nel territorio della Campania con l’ausilio dei Centri di Riferimento Regionale delle province di Salerno, Benevento e Avellino. Supporto fondamentale è stato fornito, in termini soprattutto di informazione, dall’Associazione Italiana Celiachia.
Perché farlo? Per diverse buone ragioni, in primis la considerazione che la celiachia si sta oramai diffondendo a macchia d’olio su tutto il globo, ma soprattutto nei paesi industrializzati come se fosse una malattia infettiva, contagiosa: in realtà non è come sembra. È vero, piuttosto, che si stanno concentrando verso i soggetti che hanno la predisposizione genetica nei confronti della celiachia, quei fattori di rischio che, combinati con i geni dell’HLA DQ2 e DQ8, generano l’intolleranza al glutine. Quali sono questi fattori? Soprattutto lo scarso allattamento al seno e l’esposizione a grandi quantità di glutine.
Come è stato fatto? Percorrendo due strade importanti: innanzitutto sostenendo la pratica dell’allattamento al seno, che si era dimostrato in studi precedenti capace di ridurre l’intolleranza al glutine di un fattore del 30-50%, se ben condotto e prolungato almeno fino ai 6 mesi di vita; in secondo luogo cercando, durante l’allattamento materno, di “insegnare” al bambino a riconoscere il glutine, somministrandolo in piccolissime dosi, come proteina alimentare “tollerata” e non come un nemico contro il quale scatenare quella scomposta risposta immunitaria che genera la celiachia. In pratica è stata somministrata a questi lattanti una dose glutine pari a 150 millesimi di grammo, per bocca, come se fosse una specie di vaccinazione, per un periodo di 2 mesi dal 4° al 6° mese, partendo dal presupposto che durante tale periodo avviene la “programmazione” del nostro sistema immunitario e sapendo che nei celiaci non vengono attivati quei meccanismi di “tolleranza” che consentono agli individui di accettare tutte le proteine alimentari; successivamente questi bambini sono stati svezzati gradualmente con dosi calcolate di glutine crescenti fino all’anno di vita e infine seguiti fino al 6° anno di vita per verificare se e come si era indotta tolleranza al glutine o si era sviluppata la malattia.
La partecipazione a un grande studio europeo non è stata scevra da impegni. Fondamentale è stata l’informazione dei parenti dei piccoli pazienti reclutati in modo che fossero ben convinti a partecipare seguendo “protocolli” rigorosi e approvati a livello internazionale. Per valutare gli effetti di questo tentativo di rendere tolleranti i neonati ad alto rischio genetico di sviluppare celiachia, è stato indispensabile condurre lo studio in due gruppi: mentre ad un gruppo è stata somministrata quotidianamente una bustina con le microscopiche tracce di glutine, all’altro è stato dato uno zuccherino al posto del glutine. Soltanto il caso ha deciso chi era assegnato al primo o al secondo gruppo e questo è stato accettato dai partecipanti allo studio. Tutto questo nel tentativo di prevenire la celiachia o almeno di tentare di frenare l’incremento continuo di nuovi casi, specie all’interno delle famiglie nelle quali la celiachia è già presente; è certo comunque che tutti i partecipanti hanno ricevuto una cura e un’attenzione non facile da offrire senza le risorse e l’organizzazione offerte da un grande studio europeo. Siamo stati fieri di poter cominciare in Campania, la vera culla della scienza e dell’esperienza umana sulla Celiachia.
Cari amici, a breve vi esporrò i risultati di questo grande studio.
Basilio Malamisura
Responsabile del Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e il follow-up della Celiachia – Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno.