Il mais, per il suo valore nutritivo e per le svariate destinazioni d’uso dei suoi prodotti e sottoprodotti, potrebbe essere definito “il cereale del futuro”.
Poiché l’integrazione nella lavorazione dei cereali è una delle vie di uscita dalla crisi che travaglia, oggi, l’industria dei molini, è utile rammentare ai moderni gestori dei molini da grano l’importanza di una strategia di diversificazione produttiva con un occhio rivolto alla lavorazione del mais in linea con l’attuale, potenziale sviluppo della domanda di mercato derivante da un uso sempre più esteso dei suoi prodotti di lavorazione nell’industria alimentare destinati al consumo soprattutto, anche se non esclusivamente, da parte dei soggetti intolleranti al glutine: infatti il mais, per sua natura, ne è privo.
Chiamato sempre mais nei diversi paesi è anche granturco a casa nostra, blé de Tourquie a Parigi, Indian corn sulle rive del Tamigi o trigo de la India per gli spagnoli.
Se è vero che il mais è arrivato a noi con Cristoforo Colombo, è indubbio che fosse coltivato già da alcune migliaia di anni nel Nuovo Mondo. Sembra che, appena arrivato nel nostro continente, sia stato coltivato solo nei giardini dell’Andalusia, ad opera di agricoltori arabi rimasti in Spagna e che, sempre loro tramite, sia giunto in Turchia, dove venne conosciuto e coltivato con il nome di “kukuruz”; in seguito gli italiani, con i loro commerci, lo riportarono in Europa e quindi in Italia ove la sua coltivazione tardò a farsi strada, tanto che nel 1644 il marchese bolognese Vincenzo Tanara, nella sua opera “Economia del cittadino in villa” nella quale ci dava una nuova visione dell’agricoltura, non più votata alla sussistenza, ma alle esigenze di mercato e ai calcoli di profitto, ci descriveva perfettamente la situazione affermando che il mais non lo si coltivava poiché richiedeva un terreno grassissimo, perciò era più conveniente ripiegare sulla canapa per avere maggiore profitto.
Proprio negli anni in cui si diffondeva nei nostri territori, Linneo ne introduceva la denominazione botanica latina “Zea mays”. E dove la pescò? Niente di meno che nei classici. Nel IV libro dell’Odissea, Omero accenna due volte ad un cereale chiamato “zea”, nome che si ritrova anche presso i latini per indicare un grano, quindi sicuramente qualcosa di diverso dal mais, e questo lo sapeva bene lo svedese Linneo, il quale, però, lo volle considerare “pianta della vita”, così come Omero e Teofrasto certamente consideravano il loro” zea”.
Il mais, da un punto di vista botanico, è una pianta appartenente alla grande famiglia delle Poaceae; nelle nostre regioni siamo abituati a vederlo del colore del sole, ma ne esistono varietà dai chicchi blu, viola, rosso, rosa e nero, con anelli, macchie o strisce di vari colori e la diversità del colore è dovuta a concentrazioni diverse di carotenoidi e flavonoidi contenuti nello strato esterno del chicco. Ne esiste anche una varietà bianca, il cosiddetto granoturco bianco massese che ha un sapore ed un odore pressoché uguale a quello della farina comune la cui produzione e vendita avviene esclusivamente in zona e si rivolge prevalentemente ai negozianti locali e ai privati tramite vendita diretta in azienda. Accanto a questa c’è la “Farina P.A.M. Venezuelana” anch’essa farina di mais bianco molto usata dalle grandi popolazioni del Sud America che è ottenuta dal mais, privato della cuticola gialla, precotto e macinato
Il mais riveste un ruolo importante nell’alimentazione umana e, come detto, poiché non contiene glutine è utilissimo nella preparazione di alimenti adatti all’alimentazione dei soggetti celiaci.
Semolati di mais e farine precotte sono denominati “bramate” e sono impiegati nella preparazione di una grande varietà di cibi semplici e gradevoli come creme, minestre, focacce, tortillas, arepas, pane misto, pasta, dolci e della polenta che, dopo essere stata l’alimento base di molte generazioni di italiani nel secolo scorso, è tornata alla ribalta con indubbio successo. Negli ultimi anni, infatti, il consumo di semolati per polenta pro capite è arrivato, in Italia, a circa 4,5 kg.
Le farine precotte, che riducono a pochi minuti la preparazione della polenta e dell’arepa, già largamente usate in America Latina, si stanno diffondendo anche in Italia e questo perchè, volendo parzialmente sostituire il pane, cibo pronto per eccellenza, si deve ricorrere a prodotti di immediata cottura.
Le farine istantanee di rapida utilizzazione vengono anche impiegate nelle miscele bilanciate per bambini, note sotto il nome di “baby foods” o alimenti per l’infanzia.
I corn flakes, ancora, costituiscono un alimento molto comune in quasi tutti i Paesi del mondo, dove vengono consumati con il latte nella prima colazione.
Dalla lavorazione del mais si possono poi ottenere farine con calibrature molto fini con un basso tasso di acidità che è fattore importantissimo perché evita reazioni enzimatiche nocive al buon successo della lievitazione. Queste farine sono molto utilizzate nei biscottifici per bilanciare il contenuto di glutine delle normali farine di grano e per rendere più friabile e croccante il biscotto.
Inoltre, nella prospettiva di ridurre il consumo di farine e semole di grano e ultimamente di incrementare l’offerta commerciale di prodotti naturalmente senza glutine, sono stati messi a punto dei processi per la fabbricazione di pasta di mais che ora viene prodotta con la stessa tecnologia adottata per la pasta di grano e quindi senza dover affrontare investimenti supplementari per la riconversione di impianti esistenti. In pratica un pastificio tradizionale può lavorare a cicli alternati e produrre pasta sia di grano sia di mais, oppure pasta mista grano-mais. Anche la farina di mais per pasta deve avere una calibratura molto fine e la pasta ottenuta ha colore brillante, bianco o giallo a seconda del tipo di mais utilizzato, è priva di macchie, mantiene la cottura come la pasta di grano duro e non determina sfaldamenti né perdite rimarchevoli di amido durante l’ebollizione. È di sapore gradevole e cuoce più o meno come la pasta di grano duro, in dieci-dodici minuti, a seconda dei formati.
Tra i prodotti derivati dalla lavorazione del mais va senz’altro ricordato l’amido di mais il quale viene utilizzato sia nella confezione di prodotti da forno normali sia per quanti sono allergici al glutine, come addensante in salse casalinghe o industriali e nei cibi precotti. Quando in cucina si usa la maizena come addensante, proprio per la sua particolare composizione va tenuto presente che va aggiunta solo alla fine della cottura, poiché le bastano pochi minuti per cuocere e deve essere sciolta prima a freddo in poco brodo, latte o acqua, nella proporzione di un cucchiaio da minestra raso (10 g circa), per 500 ml del preparato che si vuole rendere più corposo. Nella cucina casalinga, la maizena può sostituire totalmente o al 50% la farina normale nella preparazione di dolci da forno o budini.
L’amido di mais è usato anche nell’industria farmaceutica come veicolo per molti farmaci.
Il mais, inoltre, in quasi tutto il mondo è utilizzato per la fabbricazione della birra in sostituzione dell’orzo o in miscela con malto d’orzo, fino ad un rapporto del 35-40%. La birra prodotta in Venezuela ed in Inghilterra, ad esempio, è a base di fiocchi di mais ed è di qualità eccellente; in altri paesi il mais è usato anche nella fabbricazione di liquori.
Infine, il germe di mais viene destinato dall’industria molitoria alla produzione dell’ormai ben noto e pregiato olio che è una delle fonti più ricche di acidi grassi polinsaturi, essenziali all’organismo umano che, non essendo in grado di sintetizzarli, deve trovarli già pronti negli alimenti. Nell’industria alimentare viene sovente utilizzato per migliorare la qualità di altri oli di semi più economici.
Per quel che riguarda il suo valore nutrizionale il mais contiene pochi grassi (4,2-5%), poche sostanze azotate (8,5-11,5%), ma una forte percentuale di sostanze non azotate (amidi, destrine, zuccheri, 67,5%), oltre al 14-16% di acqua e tracce di ferro, calcio, fosforo e vitamine dei gruppi A, B e PP.
La sua ricchezza in amidi dà una pronta sensazione di sazietà, ecco perché la polenta mangiata al naturale, cioè senza condimento, sazia rapidamente ma, grazie alla sua rapida digeribilità e assimilazione, lascia poi altrettanto rapidamente una sensazione di vuoto nello stomaco e in questo è molto diversa dal piatto di pasta comune la quale, ricca di quella sostanza collosa chiamata glutine che dà tanto fastidio ai celiaci, impiega un tempo quasi doppio per essere digerita dal nostro stomaco!
Un buon piatto contro il freddo… la polenta
La parola “polenta” è di origine latina: “puls” infatti era un alimento fatto con il farro che aveva la sua stessa consistenza. Possiamo però affermare che la polenta fu inventata da Cristoforo Colombo perché quando sbarcò in America tra i nuovi prodotti che trovò c’era il mais che poi è l’ingrediente principale per fare un’ottima polenta. Questo piatto è stato riscoperto negli ultimi anni perché una volta era considerata cibo per poveri perché ha costituito per secoli, in periodi di povertà, soprattutto nelle regioni dell’Italia settentrionale, il principale e unico cibo dei contadini. La polenta era l’equivalente del pane e il “companatico” era formato da sugo, latte e formaggio.
Alcuni ottimi consigli di cucina per ottenere una buona polenta! (Se invece sei in cerca di un piatto ricercato a base di polenta, ti consigliamo di vedere subito questa ricetta: Crostini di polenta con burrata e patè di tinca affumicata, prodotto dalla Cooperativa Pescatori del Trasimeno!)
La si può preparare morbida e cremosa o dura da poter tagliare a fette, tutto dipende dalla quantità di acqua e farina che useremo nel farla. Di solito per 1,5 litri d’acqua si usano 400 – 500 grammi di farina che bastano per una polenta per 6 – 8 persone.
Le ricette con a base la polenta sono numerose e antiche. Ogni paese ha le sue varianti, che spesso sono solo di nome o nella quantità di ingredienti.
Per fare un esempio c’è chi dice polenta taragna, chi teragna o chi tiragna, ma è sempre ottenuta mescolando la farina di mais gialla con la farina di grano saraceno… la polenta “taragna” tipica della Valtellina. E’ ottima sia con vari tipi di carne che con tutti i tipi di formaggio ed è’ una polenta morbida, filante, molto gustosa. Se ne mangia di ottima a Serle che ce l’ha come specialità locale. Sempre a Serle, ma probabilmente anche in molti altri posti, si faceva “el balòt”, una palla di polenta nel mezzo della quale si metteva del gorgonzola o dello stracchino e poi la si poneva ad abbrustolire sulle vive braci.
In Val Camonica un piatto tipico era la polenta redada o consa, cioè condita con formaggio grattugiato e burro.
Un’altra specialità: la polenta a frigole (cioè a briciole) era in verità solo farina tostata nel paiolo senza aggiunta d’acqua. Come prendeva il colore della tostatura ogni commensale se ne riempiva una scodella e vi aggiungeva latte fresco o qualcosa di più sfizioso.