Al pari degli uomini, anche i cibi godono talvolta di buona o di cattiva fama tuttavia, proprio come nel caso degli uomini, talora la fama è solo usurpata attribuendo, per esempio ai cibi afrodisiaci, virtù che di fatto essi non hanno o riconoscendo pregi soltanto teorici ad altri come può essere il caso del contenuto in vitamine e minerali di un determinato alimento che, pur notevole, all’atto pratico risulta modesto: vale appena il caso di citare il ferro degli spinaci, poco o nulla assimilabile dall’organismo o le vitamine degli ortaggi in genere che vengono inattivate dalle cattive modalità di conservazione o dalla cottura ad alte temperature.
Sono duri da cancellare, anni di pregiudizi che ancora resistono soltanto grazie alla confusa, devastante e martellante pubblicità alimentare che tutti i giorni plagia le scelte dei consumatori. Pensiamo alla storia dei cibi “che fanno ingrassare”, riusciremo a convincerci che, in gran parte, è l’eccesso di calorie ingerite rispetto a quelle spese che porterà all’aumento di peso, senza necessità di crocifiggere quel singolo alimento? Certo è che, nonostante tutto, il sospetto s’insinua.
Prendiamo, ad esempio, il “clan” dei carboidrati che arruola tra le sue fila molti indiziati celebri, pur meno temuti rispetto al “clan” dei lipidi. Ecco così sul banco degli indiziati: il pane, la pasta e il riso, la polenta e poi ancora le patate e le castagne. Ebbene sì, proprio le castagne, coi loro pregi e difetti, le povere castagne, povere perché in altri tempi fornivano calorie a buon mercato per quelli che poveri lo erano davvero.
Questo frutto può essere paragonato ad un piccolo pane o ad un dolce che la natura offre già impastato all’uomo non lasciandogli altra incombenza che di provvederne alla cottura.
A volte compaiono fugacemente nelle nostre fiere paesane o all’angolo più o meno nascosto di qualche piazza o, nelle fredde giornate, sotto i portici delle città piuttosto che sulle tavole di consumatori distratti e dissennati più inclini al consumo di frutti tropicali che di prodotti dei nostri orti e dei nostri boschi. Infatti, se in questo periodo ci piace andare a passeggiare per boschi, sicuramente torneremo a casa con un sacco pieno di questi frutti.
La cultura della castagna è stata tramandata di generazione in generazione per secoli anche se oggi il suo consumo è diventato meno frequente sulle nostre tavole, mentre per lungo tempo ha rappresentato la più importante risorsa energetica di molte regioni italiane. Si sfarinavano le castagne per mescolarle alla farina di grano, una volta carente, per fare il pane e i dolci.
In realtà il consumo che l’uomo ha fatto delle castagne è antichissimo: già ne parlava, 2000 anni fa, il poeta Marziale e poi ancora Virgilio. Per diversi millenni le castagne hanno rappresentato una provvidenziale fonte di nutrimento per quei paesi montani che non disponevano neanche dei più umili cereali. Nel ‘700, solo sulle tavole nobili, fanno la loro comparsa i marrons glacè e sempre in quegli anni in Francia si inizia a produrre una cioccolata preparata con la farina di castagne secche.
Così, anche nella preparazione del pane, la farina di castagne ha fatto storicamente la sua parte, pur con un valore nutrizionale un po’ inferiore a quello della farina di grano; infatti le castagne fresche hanno un contenuto energetico modesto (circa 160 kcal per ogni etto di prodotto edibile) che si modifica in base al tipo di cottura poiché aumenta a circa 193 kcal se sono state arrostite e scende fino a 120 kcal quando vengono bollite mentre sale a 293 kcal nelle castagne secche, avvicinandosi a quello del pane.
La castagna allo stato secco è quindi un alimento di primo ordine, nutriente quasi come il frumento a cui i componenti si avvicinano: contiene infatti prevalentemente sostanze glucidiche anche se in misura inferiore al frumento, poche sostanze proteiche e ancor meno sostanze grasse a cui si aggiungono un ottimo apporto di potassio, che è un minerale indispensabile al nostro organismo, piccole quantità di cellulosa, di ceneri e molte vitamine (B1, B2 soprattutto C) che resistono alla cottura se non si toglie la buccia; buona è, infine, la presenza di fibre.
L’assenza di glutine nella sua componente proteica rende, inoltre, questo alimento adatto al consumo da parte dei celiaci.
Abbiamo detto che, dal punto nutrizionale, la castagna appartiene al “clan” dei carboidrati perché contiene amidi anche se occorre sottolineare che, se la cottura è imperfetta, come accade con le tradizionali “caldarroste”, sarà difficile digerirli completamente con inevitabile aumento dell’acidità gastrica e della flatulenza, conseguenza questa del fatto che questi amidi, sfuggiti all’azione digestiva degli enzimi del piccolo intestino debbono essere degradati dalla flora batterica del colon che genera aumento dei gas intestinali. Per questo motivo la digestione e l’assorbimento di tali amidi è migliore quando le castagne sono bollite in acqua con un po’ di sale oppure nei vari dolci di tradizione contadina dove la farina di castagne sostituiva la più nobile, e costosa, farina di frumento. Oggi questa sua caratteristica può essere, per l’appunto, sfruttata nella preparazione di alimenti senza glutine.
Mi piace comunque ricordare, dato che da pochi giorni siamo entrati nella stagione autunnale, che, ad onta dell’oblio che ha investito il loro consumo, questo frutto rappresenta, meglio di qualsiasi altro, un esempio di produzione agricola naturale, al riparo di qualunque trattamento chimico.
“Il pane dei montanari”. “Il frutto secco senza grassi”. Queste sono alcune tra le definizioni più usate per le castagne, spesso mal valutate sotto il profilo nutrizionale. L’errore tipico è quello di assimilarle all’altra frutta secca: noci, nocciole, mandorle… In realtà, come già detto, le castagne sono quasi del tutto prive di grassi ed assai ricche di amido, l’esatto opposto rispetto agli altri alimenti citati. Rispetto all’altra frutta secca le castagne possono essere più frequentemente utilizzate a tavola perché il loro apporto energetico è molto più basso. Le castagne sono dunque un alimento raccomandabile e una buona alternativa a pane e pasta, ai quali però non andrebbero associate, pena l’incremento eccessivo della quota di carboidrati nella dieta quindi, in definitiva: sì, come ottima alternativa ad un primo o ad un contorno di patate, mai consumate a fine pasto, anche se sono un frutto. Si possono consumare anche come “piatto unico” ad esempio latte e castagne lessate. Se ne possono fare anche ottimi dolci come i marrons glacè o il tipico castagnaccio…
Definivamo prima la castagna, un ottimo esempio di produzione agricola naturale e allora è interessante seguire Massimo Angelini (studioso insigne di usi e consumi delle comunità rurali), in un suo scritto sull’argomento, raccontarci più da vicino di questa farina dal colore un po’ ambrato, ottenuta da castagne raccolte a mano, seccate a fuoco nell’essiccatoio di casa e macinate in un mulino a pietra. Quanto valore c’è in un sacchetto di farina così prodotta, se è vero che dietro alla sua produzione vivono un pezzo di bosco e un pezzo di un’azienda, spesso familiare, se è vero che questo mantiene un pascolo per alcuni animali e assicura un letto di foglie per altri, se è vero che il ciclo di produzione non implica costi indiretti per la collettività (come devono essere considerati l’inquinamento e l’erosione della terra) ma porta soltanto benefici comuni?
Come potremmo definire, infatti, se non “benefici comuni”, un bosco pulito, un lembo di montagna che resta in piedi e non scivola a valle con la prima pioggia insieme alla possibilità di conoscere e assaporare piatti che per tanto tempo hanno sfamato la gente della montagna e tuttora vivono, anche se sbiaditi nella memoria?
Tutto ciò racconta che chi consuma un chilo di questa farina o un litro di birra di castagna contribuisce a mantenere in vita un metro quadrato di bosco o di terra. E a qualcuno, cui potrebbe venire la tentazione di aggiungere che chi vive in città e consuma quei prodotti aiuta gli agricoltori a restare in montagna, risponderemo che, in realtà, è vero il contrario: sono i coltivatori che, grazie a quei prodotti, aiutano chi vive in città, perché ogni metro quadrato di bosco curato, ogni metro quadrato di terra coltivata, corrispondono a un metro quadrato di territorio che, quando pioverà, non franerà a valle, non contribuirà a generare alluvioni e quel disastro idrogeologico che da quarant’anni erode l’Italia e da quarant’anni porta distruzione e lutti.
Quindi, noi che viviamo in città, a valle e sulla costa, se vogliamo permettere ai contadini di aiutarci e vogliamo regalarci salute e dare valore alla nostra tavola … consumiamoli questi prodotti! I prodotti di chi continua ad abitare la montagna e a curarne i boschi, i pascoli e le terrazze; quelli dell’agricoltura di piccola scala, delle aziende familiari – in montagna, come in collina e in pianura – dove il lavoro è più importante del denaro; quelli legati alle stagioni e alle risorse locali, dove la terra non è violentata, ma coltivata con rispetto e mantenuta fertile; quelli dei quali si può raccontare ogni costo a testa alta: i prodotti di agricoltura locale.
Alcuni consigli per andare a tavola con le castagne!
Innanzitutto dobbiamo sapere che le castagne che raccogliamo fresche nei boschi non vanno consumate subito, bensì andrebbero lasciate riposare a temperatura ambiente per almeno cinque giorni e questo perché una parte degli amidi contenuti in essa si trasformerà in zuccheri così il frutto sarà più dolce e quindi più buono. Per digerirlo bene dovremo stare attenti alla cottura. Nella classica padella bucherellata per le caldarroste, ad esempio, i frutti più grandi devono rimanere più a lungo per far sì che vengano cotti fin dentro al cuore; mentre quelli piccoli vanno girati continuamente per una cottura uniforme. Inoltre quando si mangia una castagna si deve togliere la pellicina esterna perché contiene una sostanza che limita la velocità di digestione ed è indispensabile masticare a lungo così, con un enzima contenuto nella nostra saliva, potrà già avvenire una pre-digestione in bocca.
Tra i possibili impieghi alimentari di questo frutto la birra di castagna rappresenta una novità assoluta ed è stata sperimentata a lungo prima di essere proposta sul mercato. Infatti si è trattato di una vera e propria sfida, sia per il tipo di lavorazione sia per il gusto particolare del prodotto. L’operazione si è rivelata un successo e risolte le difficoltà per il filtraggio, si è ottenuta una birra dal gusto lievemente affumicato dal sapore gradevolissimo.
L’istrionico Sergio Circella, patron del Ristorante La Brinca di Né (dalle parti di Chiavari, in provincia di Genova) ci consiglia un piatto in abbinamento alla birra di castagne che abbiamo leggermente modificato per renderlo fruibile anche da individui celiaci, intolleranti al glutine.
Picagge di castagna con i funghi e le noci
Mescolare metà quantità di farina di castagna e metà amido di mais Maizena, acqua q.b., 4 uova intere per ogni Kg di farina, un pizzico di sale, ½ bicchiere di vino bianco, 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva. Impastare e amalgamare gli ingredienti per ottenere l’impasto che poi andremo a stendere, con molta accortezza, con un matterello fino ad ottenere una sfoglia di sottigliezza media. Arrotolata la sfoglia, la taglieremo a strisce larghe per ottenere delle fettucce, le “picagge”, che allargheremo e spruzzeremo con un po’ di farina asciutta. La pasta ottenuta va fatta bollire per un massimo di 5/6 minuti. Scolare e condire. Prendere funghi selvatici di varie specie ma vanno bene anche soltanto i porcini. Tagliare i funghi a pezzetti dopo averli ben puliti, non bagnati. In un tegame mettere un filo d’olio extravergine di oliva, un trito di prezzemolo e aglio e soffriggere leggermente, aggiungere poi i funghi tagliati e dare una piccola cottura. A parte tritare finemente dei gherigli di noci. A questo punto si condiscono le picagge di castagna con i funghi e poi si spolverano sopra le noci tritate. Buon appetito!