Dott. Basilio Malamisura: il celiaco e il turismo

Sulle principali testate giornalistiche nazionali si rincorrono spesso allarmi e considerazioni sulla diaspora di turisti che si sta verificando negli ultimi anni nel BelPaese. Penso che sia semplicemente… pazzesco perché dal punto di vista turistico saremmo il paese perfetto se non avessimo prezzi troppo alti, servizi e infrastrutture non sempre all’altezza e scempi paesaggistici da terzo mondo. Come a dire che “Cupolone” e amatriciana non bastano, “Battistero” e tartufi non sono sufficienti. Cosa ci riserveranno gli anni a venire? Forse il declino dell’Italia sta diventando inarrestabile?

Sono, purtroppo, davvero poche le voci che abbiano avanzato proposte, progetti, idee.
Non si sentono, ovviamente, le associazioni di categoria e le Istituzioni competenti.
Dalle prime, solo lamentele e richieste di agevolazioni fiscali. Dalle seconde, solo vuote promesse e progetti inconsistenti.

Il declino, ho paura a dirlo, sta diventando sociale e culturale, prima ancora che economico.
Cosa può attendersi, ormai, dal futuro un Paese che sembra aver perso, in larga misura, la sua memoria oltre alla consapevolezza dei bisogni di tutti?

Il problema, a questo punto, non è tanto di preoccuparsi per quanto saranno “affollati” gli anni che verranno, quanto di plasmare un modello di offerta turistica da proporre al mercato secondo un progetto completo, elaborato in un’ottica di ampie vedute, anche nell’offerta alberghiera da riconsiderare, oramai, alla luce delle nuove esigenze anche alimentari che stanno emergendo in Italia e nel mondo. È utopia? Chissà!

Abbiamo compiuto sforzi enormi per abbattere tante (e quali) barriere architettoniche per ampliare la fruibilità degli spazi artistici, ludici, culturali e di svago dimenticandoci di quelle barriere (forse meno evidenti ma certamente invalidanti) che ho definito, senza troppa fantasia, “barriere gastronomiche” che sempre più persone, tra noi, incontrano nel loro vivere quotidiano.

Sono vieppiù convinto che, sebbene, il nostro futuro turistico si giochi tutto sulla capacità di valorizzare la straordinaria ricchezza storica, artistica, culturale e paesaggistica delle nostre province, non sia giusto trascurare l’intera filiera che fa capo alla enogastronomia di qualità (dal piccolo coltivatore, all’allevatore, al vignaiolo fino alla trattoria, al ristorante, al grande albergo) fruibile per tutti, senza eccezioni di sorta.

Abbiamo risorse incredibili che però da sole non servono a niente, se poi mancano capacità progettuali e di apertura a tutti.

Se continuiamo ad insistere con questo genere di offerta (stanca, ripetitiva e quasi sempre selettiva su criteri unicamente economici) commenteremo prossimi anni pessimi, poi ancora peggiori e così via…

Individuare semplicisticamente le cause dei nostri problemi nella congiuntura economica sfavorevole sarà certo consolatorio ma anche illusorio, perché quando la gente tornerà ad avere soldi da spendere, siamo così sicuri che sarà disposta a dissiparli per pernottare in alberghi fatiscenti in località ingiustificabilmente carissime senza riuscire a trovare, a volte nel raggio di molti chilometri, un ristorante o una trattoria dove poter consumare, sicuri della propria incolumità, un pasto senza glutine?

Saremo così costretti a puntare sempre sugli stessi cavalli (le stranote e congestionate città d’arte oppure le nostre coste, spesso assai meno entusiasmanti di quanto i prezzi lascerebbero intendere) i cui operatori saremo forse riusciti a sensibilizzare all’offerta di pasti differenziati per quelle persone che vivono quella condizione di diversità alimentare che rappresenta, al giorno d’oggi, l’intolleranza alimentare più diffusa nel mondo occidentale: la celiachia.

Possibile che il concetto di diversificazione dell’offerta (per quelli che dovrebbero farne il fulcro della loro proposta complessiva) sia così difficile da afferrare?

Diversificazione dell’offerta non significa, attenzione, una sua polverizzazione in una miriade di micro-proposte slegate e confusionarie (anche in questo siamo maestri, purtroppo), ma individuazione di differenti percorsi tematici, anche alimentari, che presentino una loro coerenza interna e che consentano, in modo agevole e chiaro, al visitatore straniero come a quello italiano di scoprire (o magari riscoprire, nel secondo caso) uno spicchio di Italia inconsueto e lontanissimo dallo stereotipo consolidato di “bellezza italica”, eppure non meno sorprendente ed emozionante.

La storiella dell’Italia che è “O’ Paese d’o’ sole” e “Il Paese più bello del mondo” ce la siamo già bella che giocata e, ormai, da sola non attacca più. Casomai, sarebbe finalmente giunto il momento di cominciare a dimostrare coi fatti di cosa siamo capaci, chè poi non ci vorrebbe neanche tanto visto che, in fondo e nonostante tutto, continuo ancora a credere che sia profondamente vero.

Cerco di spiegarmi.

Il nostro tessuto imprenditoriale turistico è composto per lo più da aziende di piccole dimensioni, questo può portare più flessibilità e maggiore “autenticità” dell’esperienza percepita dai visitatori (ad es. per la possibilità di instaurare un rapporto quasi familiare con l’albergatore di turno, complice anche il nostro temperamento espansivo), ma altrettanto certamente prezzi un po’ più alti e (forse) minori servizi.

senza glutineÈ appunto il caso dell’offerta ristorativa differenziata. Oggi la sempre maggiore sensibilità degli Istituti alberghieri fa sì che vengano sovente organizzati percorsi formativi gastronomici riguardo al senza glutine. Ci aspetteremmo pari sensibilità da parte degli imprenditori turistici nei confronti del problema invece spesso… solo indifferenza! È così difficile capire che la frequenza di questa condizione è tale che ne risulta affetta una persona su 100 e che quindi “rischiamo” d’incontrarne due, tre, anche quattro in un albergo? Ricordiamo che queste persone hanno spesso una famiglia che le accompagna e sceglie insieme a loro l’albergo o il ristorante dove fermarsi… Siamo pronti a rinunciare a questi turisti?

Ci auguriamo che tutta l’Italia, in ogni suo chilometro quadrato, diventi sempre più appetibile agli occhi dei potenziali visitatori invece di assistere ad un progressivo impoverimento di creatività e capacità manageriali in tutti quei soggetti che costituiscono la rete imprenditoriale turistica: una specie di black out collettivo di teste che, proprio sul più bello (cioè ora, che bisognerebbe reinventarsi), si sono mostrate pigre, stanche nella ricerca di quelle alternative, anche alimentari, che farebbero tanto bene alla diversificazione dell’offerta. In fondo, l’aspetto più irritante di tutta la vicenda è che per questo non ci sarebbe affatto bisogno di ingenti investimenti, ma semplicemente di una più intensa e diffusa sensibilità collettiva. L’Associazione Italiana Celiachia attende che sempre più operatori del settore si convertano senza timori alla ristorazione differenziata prendendo contatti con i referenti regionali del Progetto Ristorazione.

Basilio Malamisura