Dott.ssa Nicoletta De Lorenzo: cultura e società nei disturbi alimentari

I Disturbi dell’Alimentazione sono una forma emergente di disagio che interessa adolescenti e giovani donne e sta sempre più riguardando anche individui di genere maschile. Sono una forma di disturbo mentale che tende facilmente alla cronicità, segnando in maniera negativa la vita dei giovani colpiti, anche nelle fasi di apparente normalità.

Nel suo libro intitolato “Malattia come metafora”, la scrittrice americana Susan Santag evidenziava come sia caratteristica di ogni epoca storica la sensibilità a privilegiare una determinata malattia; non necessariamente la più diffusa o la più funesta.

Alcune malattie sono così profondamente collegate a determinate epoche storiche da diventare il simbolo di un secolo o di un periodo. La malaria come malattia fondamentale nell’antichità greca e nell’Impero romano. La lebbra-tifo nel Medioevo. La tubercolosi e la sifilide che dominano la cultura dell’Ottocento. Il cancro e l’AIDS come le grandi paure del Novecento¹.

delorenzo_tavolaSe, allora, ogni epoca ha la sua malattia, non c’è dubbio alcuno che i disturbi del comportamento alimentare si prestino a rappresentare straordinariamente quella contemporanea, connessi come sono all’immagine corporea, all’ossessione per l’apparire, alla sicurezza del Sé, al significato del cibo, amico-nemico.

Oggigiorno i disturbi del comportamento alimentare (dca) costituiscono una vera epidemia sociale che non sembra trovare argine alla sua crescita esponenziale.

Ci chiediamo allora, come mai proprio nella nostra epoca si ha un continuo aumento della loro incidenza e prevalenza negli Stati Uniti e in Europa, nonché della loro comparsa in altre parti del mondo?

Per rispondere a questa domanda, possono essere utilizzate le parole di due autori di un testo di psicopatologia, David Barlow e Mark Durand i quali sostengono che: i disturbi del comportamento alimentare rappresentano un caso unico in ambito psichiatrico, per via del ruolo eziologico giocato dai fattori sociali e culturali². Nel corso degli ultimi anni si è compiuto un significativo progresso nel trattamento clinico dei disturbi dell’alimentazione, nella loro varietà diagnostica, nell’individuazione della relazione tra questa ed altre patologie psichiatriche, nel ruolo dei fattori neurobiologici; però, quando c’è un’espansione epidemica così elevata, vuol dire che il peso dei fattori socio-culturali è estremamente forte e quindi non si può comprendere l’odierna proliferazione di questa patologia senza un’analisi del contesto socioculturale complessivo entro cui essa si manifesta³.

Per un migliore approccio al problema dell’anoressia e bulimia occorre comprendere l’interazione di cultura, storia e psicopatologia. L’opera di Georges Devereux, psicoanalista e antropologo, del 1955 risulta essere a questo proposito molto utile in quanto in essa è presente la definizione di “disturbo etnico”. L’uso che Devereux fa del termine etnico non è quello tecnico, che rimanda ad un’idea di “gruppo etnico”, ma ha il significato di “tipico di una cultura”, o comunque di “fondamentalmente inerente ad una cultura”. Un disturbo etnico è dunque una forma di malattia che, in virtù di dinamiche proprie, arriva ad esprimere le contraddizioni cruciali e le angosce essenziali di una determinata società. Nel suo saggio Devereux enumera una serie di criteri fondamentali che permettono ad una sindrome di essere qualificata come disturbo etnico: il disturbo si verifica di frequente nella cultura in questione rispetto ad altri tipi di patologia psichica; esiste una certa continuità fra i sintomi, le loro dinamiche e gli elementi normali della cultura; il disturbo è la tappa finale, comune, dell’espressione del disagio psichico; il disturbo acquista una certa notorietà nella cultura e sviluppa una “propria politica”.

Tenendo allora ben presente questo concetto, si può andare ad individuare quali siano i fattori socio culturali che stanno alla base dell’aumento dei disturbi del comportamento alimentare nel nostro tempo.

I fattori socioculturali implicati nella genesi dei DCA (disturbi del comportamento alimentare)

mediciTutti gli esperti, medici e non, concordano nel ritenere la donna maggiormente propensa a sviluppare disturbi dell’alimentazione. Questa preponderanza di pazienti di sesso femminile fa sì che, tali disturbi abbiano la proporzione sessuale più asimmetrica di ogni altra in psichiatria. Se questa condizione può essere in qualche modo legata alle differenze biologiche tra i sessi, ad esempio le donne hanno una maggiore resistenza alla mancanza di cibo rispetto ai maschi, hanno una predisposizione biologica all’accumulo di grasso e subiscono maggiori frustrazioni sforzandosi di seguire regimi dietetici, è impossibile non tener conto delle influenze sociali e culturali.

Il discorso ruota attorno al concetto di identità femminile e al ruolo sociale e familiare della donna nella nostra società.

Lo sviluppo dell’identità è un processo dinamico che si svolge nel corso dell’esistenza ed è influenzato da numerosi fattori: condizioni storiche e sociali, esperienze familiari particolari, predisposizioni biologiche e fattori accidentali dello sviluppo. Mutamenti radicali nel ruolo sociale e nelle aspettative possono causare crisi profonde nel processo di formazione dell’identità.

La condizione femminile contemporanea risulta così problematica, proprio perché il ruolo imposto alle donne è fonte di molteplici richieste spesso contrastanti. La cultura di massa ha mitizzato l’immagine della “superdonna” che è allo stesso tempo tanto capace, ambiziosa e di successo quanto piacevolmente femminile, sensuale e materna: dunque, oltre a soddisfare le molteplici richieste della condizione femminile moderna, la “superdonna” deve anche riservare attenzione al suo aspetto fisico e al controllo del peso. Alcune ricerche evidenziano come soltanto le ragazze che si identificano con l’ideologia della superdonna, manifestano sintomi di disturbi dell’alimentazione, mentre quelle che criticano o rifiutano tale stereotipo, sono per lo più libere da tali problemi4.

donna libera

Se ritorniamo a quanto detto prima, secondo cui il soggetto che sviluppa un disturbo etnico soffre profondamente a causa dei conflitti psicologici che pervadono la sua cultura e l’ansia, la depressione o confusione che ne derivano è tale da portarlo allo sviluppo di sintomi patologici come difesa di fronte ad una sofferenza psicologica, allora da questo punto di vista anoressia e bulimia possono essere viste come espressione dei dilemmi dell’identità femminile in un clima culturale in cui il ruolo della donna è definito in modo ambiguo e ancora limitato da un controllo maschile istituzionalizzato.

Un secondo aspetto da analizzare riguarda la sovrabbondanza di cibo e l’idolatria culturale della magrezza presente nella società odierna.

Oggi, in presenza di una sovrabbondanza di cibo assistiamo ad una frenetica e ossessiva ricerca di un corpo magro: mangiare in modo “misurato e sano” è diventato oggi una necessità fisiologica e psicologica. La spinta alla magrezza, in presenza di una maggiore disponibilità pro capite di calorie e con un peso medio della popolazione che tende a crescere, crea un vero e proprio paradosso che induce a comportamenti alimentari disturbati. L’oggetto del desiderio della nostra società è un corpo patologicamente magro, che va in contrasto con la realtà del peso corporeo medio e, allora, sono sempre più numerose le persone che adottano comportamenti alimentari di controllo del peso. Poiché, inoltre, i soggetti affetti da disturbi alimentari sono dominati dall’ansia per la forma e il peso, e poiché sono nella stragrande maggioranza di sesso femminile, risulta evidente che l’ansia della magrezza gioca un ruolo importante nell’aumento dell’incidenza di tali disturbi. In senso più ampio la cultura ha sempre proposto agli individui standard specifici per ciascun sesso per quanto riguarda attrazione, peso e forma fisica; se questi standard, che variano da cultura a cultura, vengono interiorizzati e utilizzati per valutare il proprio livello di adeguatezza fisica e sociale, possono influenzare la rappresentazione del corpo del soggetto ed i suoi comportamenti alimentari.

Gli stereotipi di bellezza e salute come “magrezza e muscolosità” si rivelano delle vere e proprie trappole per i soggetti predisposti che restano imprigionati nel conflitto iperalimentazione/perfetta forma fisica. Da questo dilemma nascono i disturbi del comportamento alimentare.

Nella nostra epoca, la diffusione sociale dei modelli comportamentali è radicalmente accresciuta dall’azione giocata dai mezzi di comunicazione di massa che con i loro messaggi, le loro immagini e personaggi influenzano gli ideali corporei che sono tanto importanti nella comparsa dei disturbi alimentari e, in particolar modo nell’anoressia.


1. cfr L. Dalla Ragione, “ La casa delle bambine che non mangiano”, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2005
2. D.H. Barlow, V.M. Durand, “Abnormal Psycology: A Integrative Approach”, Brooks/Cole, Boston, 1999
3. cfr R. A. Gordon “ Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004
4. Dati rilevati dalle ricerche condotte da Catherine Steiner-Adair sulla popolazione femminile dello stato di New York e da un gruppo di ricercatori di Yale. Cfr R. A. Gordon “ Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale”, Raffaelo Cortina Editore, Milano, 2004


Articolo a cura di Nicoletta De Lorenzo, Psicologa-Psicoterapeuta Specialista in disturbi alimentari e obesità, Responsabile terapeutico area disturbi alimentari, Responsabile e referente progetti di prevenzione sui disturbi del comportamento alimentare e obesità Cibiamoci, Psicologo-Psicoterapeuta strutture semiresidenziali riabilitative psichiatriche Società Cooperativa Sociale Anthropos Giovinazzo (Bari).

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