Numerosi i tentativi di screditare il nostro olio d’oliva da parte dei mass media internazionali. Basti pensare al giornalista del New York Times, Tom Mueller, che qualche anno fa si scagliava contro l’Italia dipingendola come un Paese vocato a delinquere nel campo dell’olivicoltura, con un articolo in cui si legge quanto segue: “Il 69 % dell’olio proveniente dall’Italia – e destinato agli Stati Uniti – è tagliato e adulterato nel porto di Napoli. Enti preposti al controllo – come i Corpi Speciali dell’Arma dei Carabinieri – incapaci di fare quello per cui sono addestrati, ovvero contrastare le frodi. Istituzioni politiche conniventi che con la loro influenza impediscono che i truffatori siano indagati per legge”.
Accuse contestabili, che vogliamo approfondire con l’aiuto di Elia Fiorillo, coordinatore settore olivicolo Alleanza Cooperative Italiane.
Signor Fiorillo, non si tratta delle uniche accuse che dall’estero vengono rivolte al settore olivicolo italiano. E’ a conoscenza di altri casi simili?
“Purtroppo ha ragione. Siamo di fronte a un vero e proprio tentativo di screditare i prodotti italiani afferenti questo settore agricolo. Infatti un altro scrittore americano, Larry Olmsted, ha recentemente pubblicato un libro sul fenomeno del “food fake” (ovvero della contraffazione sul cibo), sostenendo che sia sconsigliabile acquistare e consumare olio extra vergine di oliva italiano o spagnolo. A questi prodotti, infatti, secondo Olmsted, andrebbero preferiti oli cileni o australiani.
Nel tour promozionale del suo libro, Olmsted continua asserendo che le frodi relative agli extravergini sono di tre tipi, ovvero: miscelare extra vergine con olio di soia o canola, indicando però che si tratta di extra vergine; miscelare “hight quality olive oil” con “low quality olive oil”, ovvero miscelare extra vergine con olio vergine o lampante, etichettandolo però come extra vergine; miscelare extra vergine con altro extra vergine proveniente però da precedenti campagne di raccolta, ovvero miscelare olio vecchio con olio nuovo.”
Dichiarazioni del genere non possono che minacciare la credibilità del made in Italy alimentare. Secondo lei cosa andrebbe fatto per contrastare simili accuse?
“Dopo l’ondata generale di sdegno per l’articolo del Times poco è stato fatto per convincere gli americani sulla bontà dei nostri Extravergini, ma non possiamo assolutamente continuare a rimanere inermi di fronte a tali accuse. C’è bisogno di una campagna promozionale che veda assieme produttori e confezionatori, con il sostegno del Ministro Martina. Una campagna che scardini certe interessate prese di posizione sugli Extravergini di qualità italiani.
Bisogna anche sostenere e incentivare investimenti in nuovi oliveti, efficienti e competitivi, anche a conduzione cooperativa, nelle aree vocate con l’obiettivo di arrivare, entro 8-10 anni, a soddisfare un fabbisogno minimo di 200 mila tonnellate di EV italiano di Alta Qualità. Inoltre, occorre tutelare le due anime della filiera olivicola olearia italiana, quella produttiva e quella commerciale, affinché s’impegnino sempre più a realizzare prodotti con requisiti etici e qualitativi restrittivi. E poi, riconoscere e tutelare la dizione “Alta Qualità”, proposta per differenziare l’olio EV italiano rispondente ai requisiti qualitativi del disciplinare nazionale.”
E per quanto riguarda i controlli? Cosa specificherebbe in merito di fronte alle accuse mosse dai mass media americani?
“Innanzitutto va ricordato che il nostro Paese, in quanto a controlli, non è secondo a nessuno: alcuni nostri produttori hanno previsto certificazioni volontarie, si sottopongono alla “Certificazione ISO 22005”, “Sistema di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari” e UNI 11020:02, relativo al “sistema di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari” per commercializzare oli di grande qualità. Per non parlare poi della legislazione Italiana e UE, estremamente rigida su controlli e tracciabilità, che non ha paragoni al mondo, su nessun prodotto, anche in USA.”
Che dire allora, non tutti i mali vengono per nuocere! Speriamo che queste ultime forme di informazione “negativa” ci aiutino a cambiare direzione verso strategie che esaltino e non minino l’immagine di alta qualità del made in Italy alimentare all’estero!
Un grazie a Elia Fiorillo per averci aiutato a fare un po’ di chiarezza su questo delicato argomento.