Ieri ho sentito l’odore dell’erba del giardino appena tagliata. È cambiato. Non è più fresco, balsamico. È diventato muschiato, più caldo, ricorda il profumo umido dei boschi. La stagione cambia, quest’anno più che mai la variazione è stata repentina. Le prime nebbie ammantano la collina al mattino, le foglie degli alberi, non più turgide, ma molli di pacifica rassegnazione, sono madide.
Ricordo i pranzi domenicali nella casa di campagna della mia famiglia, quando l’autunno rivendicava il suo annuale diritto di possesso della natura. Dalle finestre del salotto, la domenica mattina, faticavo a scorgere la collina di fronte. Il canto degli uccelli giungeva ovattato e sporadico e dalla cucina arrivavano le voci di mia madre e delle mie zie, accompagnati da profumi conosciuti e rassicuranti. Preparavano gli agnolotti. Pregustavo il loro sapore e la gioia insita nel mangiare il giorno dopo quelli che sarebbero avanzati , una volta rientrata a Torino.
Addentare gli agnolotti era estasi allo stato puro. Caldi, gustosi, nutrienti, deliziosi: il loro sapore raccontava la storia culinaria della mia famiglia e di come le tradizioni della mia regione venivano da essa onorate attraverso una caratterizzazione che fa di ogni nucleo famigliare una sorta di libro di storia della cucina regionale. Adoro preparare la pasta fresca in casa, in particolare quella ripiena. I ricordi si scatenano in momenti di intima felicità e inevitabile, dolce nostalgia. L’autunno e l’inverno sono stagioni in cui la cucina piemontese, ricca e sontuosa, dà il meglio di sé, sia per la reperibilità delle materie prime, sia perché sapori e contrasti forti e avvolgenti si adattano perfettamente all’istintualità alimentare del corpo che passa dal caldo al freddo sempre più intenso. Con l’arrivo dell’autunno bagna caoda, pasta fresca ripiena, trippa, brasati e lessi di carne diventano protagonisti della mia tavola. Mi piace sperimentare e allargare i miei orizzonti in fatto di cucina, perché ciò significa cultura e conoscenza, ma celebrare i prodotti e le ricette del Piemonte appagano il mio senso di appartenenza, la mia identità culinaria.
Per realizzare questa ricetta ho utilizzato tre prodotti tipici della provincia di Torino. La trippa di Moncalieri un salame di trippa che generalmente si consuma affettato sottilmente e condito con olio, sale, pepe e spezie, la cipolla Piatlina di Andezeno, una prelibatezza dolce e delicata che rischia l’estinzione, oggi coltivata con ardente passione da pochi contadini e un miele delle vallate alpine della provincia di Torino che testimonia quanto un alimento così importante per la salute dell’uomo debba essere di qualità e prodotto con profondo amore.
Ingredienti
(dosi per 4 persone)
Per la pasta:
250 grammi di farina 00
1 uovo grande
Un pizzico di sale
Acqua q.b.
Per il ripieno:
400 grammi di salame di trippa, ovvero Trippa di Moncalieri (per informazioni sul prodotto cliccate qui)
Due tuorli d’uovo
Due cucchiai colmi di Parmigiano Reggiano grattugiato al momento
Un pizzico di cannella
Un chiodo di garofano
Noce moscata grattugiata al momento q.b.
Olio EVO q.b.
Sale fino q.b.
Pepe nero macinato al momento q.b.
Per il condimento:
2 cipolle bionde Piatlina di Andezeno (per informazioni sul prodotto cliccate qui)
2 cucchiai colmi di miele millefiori delle vallate alpine della provincia di Torino (per informazioni sul prodotto cliccate qui)
Un rametto di rosmarino
Olio EVO q.b.
Sale fino q.b.
Pepe nero macinato al momento q.b.
Procedimento
Preparo la pasta: sulla spianatoia o in planetaria impasto la farina setacciata con l’uovo e il sale, aggiungendo acqua quanto basta ad ottenere una pasta liscia, omogenea e ben soda. Avvolgo con pellicola da cucina e lascio riposare in frigorifero per mezz’ora.
Nel frattempo realizzo il ripieno: frullo la trippa per ottenere un composto molto fine ed omogeneo; trasferisco in una ciotola, condisco con un po’ d’olio, sale, pepe, pochissima cannella, il chiodo di garofano polverizzato in un mortaio e un po’ di noce moscata. Assaggio e regolo di sapore se necessario. Unisco i tuorli e mescolo bene. La farcia degli agnolotti deve essere piuttosto soda.
Trascorso il tempo di riposo, con il mattarello o con l’apposita macchina stendo la pasta in sfoglie sottilissime che dispongo sul piano di lavoro.
Prelevo un cucchiaino abbondante di ripieno e, con le mani leggermente inumidite, formo palline che dispongo sulle sfoglie di pasta (nella parte inferiore), distanziandole di un paio di centimetri.Inumidisco leggermente la pasta attorno al ripieno e la ripiego, sigillandola molto bene attorno ad esso, avendo cura di far uscire l’aria in modo che non ne resti all’interno degli agnolotti. Formo gli stessi tagliandoli con una rotella dentellata e li sistemo su un vassoio ben infarinato.
Affetto molto finemente le cipolle e le sistemo in una padella con un po’ di olio EVO e il rametto di rosmarino; soffriggo per un paio di minuti a fiamma vivace avendo cura di non farle imbrunire. Condisco con sale e pepe e aggiungo il miele. Cuocio per altri due minuti, unisco mezzo bicchiere di acqua calda, porto la fiamma al minimo, copro e cuocio fino a quando le cipolle sono stufate ma ancora croccanti.Elimino il rosmarino e tengo in caldo. Porto a bollore l’acqua salata contenuta in una capace pentola. Cuocio gli agnolotti per pochi minuti, li scolo e li ripasso in padella assieme alle cipolle.
Servo dopo aver spolverizzato con un po’ di Parmigiano Reggiano grattugiato e una macinata di pepe.
Autore: Paola “Slelly” Uberti
Blog: Slelly – The Dark Side of Kitchen