Dalle Langhe piemontesi ai Monti Picentini… venuta in terra a miracol mostrare.
C’è profumo e c’è storia in questo piccolo frutto: m’inebrio di odori mentre ci penso e mi pare quasi di immergere, avido, le dita nei sacchi pieni di nocciole e recuperare a piene mani i piccoli frutti e le polveri e soffiare via il tutto, in un divertimento gioioso.
La nocciola potrebbe senz’altro essere considerato uno dei primi alimenti completi che, allo stato spontaneo e selvatico, l’uomo abbia trovato. Originaria dell’Asia Minore (anche se pare che in Svizzera siano state trovate nocciole fra reperti risalenti all’età del rame), era comunque già conosciuta nell’antica Roma dove si era usi a regalare piante di nocciolo per augurare felicità mentre più tardi in Francia, durante l’Ancien Régime, si regalava agli sposi come simbolo di fecondità. Dallo stadio della presenza spontanea a quello della coltivazione più o meno specializzata il passo è stato guidato soprattutto dalla necessità di trasformare l’inconsistenza produttiva della specie selvatica nella maggiore certezza quantitativa e qualitativa di una produzione organizzata.
In Italia il nocciolo (il cui nome botanico è corylus avellana) è coltivato in molte regioni del meridione ma si trovano coltivazioni di noccioli anche in Piemonte; in queste regioni è concentrato oltre il 90% delle superfici agricole dedicate a tale coltivazione. Le varietà coltivate, a frutto tondo o a frutto allungato sono varie: tra le più pregiate la Tonda Gentile, la Nocciola di Giffoni, la Nocella bianca e la Nocella rossa.
La coltivazione del nocciolo in Campania è antichissima. Numerose testimonianze si rinvengono nella letteratura latina già a partire dal III secolo a.C. e da reperti archeologici, quali ad esempio alcuni resti carbonizzati di nocciole, esposti al Museo Nazionale di Napoli. Le prime testimonianze della coltivazione della “Nocciola di Giffoni”, prodotto tipicamente salernitano, risalgono al Medioevo, ma è solo attraverso rapporti commerciali con il resto d’Italia e con l’estero, nell’epoca borbonica, che si venne a conoscere il valore distintivo della qualità di tale prodotto. La diffusione di questa coltura nel resto d’Italia sembra essere iniziata proprio a partire dalla Campania, tanto che già nel secolo XVII il commercio delle nocciole, in particolare verso altre nazioni, aveva una sua rilevanza economica. Il territorio dei Picentini e della valle dell’Irno, d’altra parte, è vocato naturalmente alla coltivazione del nocciolo in quanto questa pianta è presente da sempre nella zona allo stato spontaneo. Il terreno di origine vulcanica offre, infatti, le migliori condizioni di fertilità, e in generale le proprietà qualitative della Tonda di Giffoni sono riconducibili proprio al fortunato mix di fattori ambientali, naturali e umani tipici della zona di produzione. Successivamente, nel Novecento, si è registrata una forte espansione colturale proprio in relazione all’aumentata richiesta da parte dell’industria dolciaria mentre, contemporaneamente, la coltivazione stava cominciando a svilupparsi anche nel Piemonte meridionale, prendendo poi consistenza definitiva negli anni Trenta, a seguito di interessanti esperienze orientate alla produzione dolciaria. Così le Langhe, la provincia di Cuneo e, di conseguenza, quelle vicine di Asti ed Alessandria sono diventate terreno fertile per la coltura del nocciolo, anche se su questo grande territorio collinare tale attività agricola si è affidata in pratica ad una sola varietà, quella “Tonda Gentile delle Langhe” che si è selezionata grazie ad un lento processo naturale guidato dell’uomo.
Nel contesto della produzione mondiale, quella italiana è purtroppo una piccola realtà, che però si distingue soprattutto per gli aspetti qualitativi dei frutti. Peraltro oggi, ancor di più, la situazione sta modificandosi; il mercato è oramai internazionale e spesso dominato dalla Turchia, che detiene il predominio assoluto di tale comparto con il 78% della produzione mondiale e con oltre un milione di occupati. Tale situazione di predominanza assoluta spesso si traduce, nel prezzo, in un atteggiamento di tipo “politico” che condiziona anche in modo pesante tutto il resto della produzione e del mercato.
La Nocciola italiana, però, ha un suo percorso da seguire e da consolidare. Un percorso dettato dalla qualità della produzione e dalla sua delimitazione quantitativa: due aspetti che, agli occhi degli utilizzatori e dei consumatori, la potranno rendere sempre più preziosa e desiderabile.
La nocciola è, infatti, un alimento altamente nutritivo oltre che molto energetico (circa 630 Kcal per 100 grammi) in quanto ricco in lipidi (64% circa), costituiti principalmente da acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi (come l’acido oleico) i quali hanno la virtù di limitare fortemente i livelli di colesterolo nel circolo sanguigno (per questo il suo consumo può aiutare a proteggerci dall’arteriosclerosi e dalle malattie cardiovascolari), la quota proteica è del 14% mentre quella in carboidrati è molto scarsa raggiungendo appena l’8%; d’altro canto è però ricca di vitamine E, B, C, nonché di minerali quali il ferro, il rame, lo zinco, il fosforo, il sodio, il potassio, il magnesio, il calcio e il selenio, elementi questi tutti fondamentali per un corretto funzionamento dei nostri sistemi cellulari.
L’aspetto senz’altro più interessante della nocciola è legato ai suoi caratteri organolettici, caratterizzati dall’eleganza del suo profumo e dalla sua lunga persistenza e questo si riflette favorevolmente proprio sui risultati qualitativi degli elaborati in pasticceria, cioccolateria, o in cucina.
Le nocciole comunque vengono utilizzate non solo per la produzione di dolciumi ma da esse si ricava un olio molto particolare che può essere utilizzato nell’alimentazione e questo valorizza ulteriormente la Tonda Gentile poiché quello di nocciola è un olio molto pregiato, caratterizzato dal ricco aroma tipico del frutto tostato; come sottoprodotto della sua lavorazione si ottiene un panello che, una volta sfarinato, può essere utilizzato come ingrediente in alcune preparazioni gastronomiche che, considerata l’assenza di glutine nella sua composizione, è adatto all’alimentazione di individui intolleranti al glutine.
Quest’ultimo aspetto potrebbe essere molto importante e cerchiamo di capire perché. In primo luogo è necessario considerare che attualmente la produzione di quest’olio, oltre ad essere quasi irrilevante, ha dei costi alti in termini di manodopera; l’analisi delle ipotesi di miglioramento del processo consente di osservare che questi sono dovuti principalmente all’inadeguatezza degli impianti attualmente utilizzati da quei pochi che si sono avventurati in questa difficile impresa. Infatti con la procedura economicamente più sostenibile, cioè l’estrazione in continuo da nocciole crude, mediante una spremitrice a vite eccentrica si ottiene un olio che non possiede il caratteristico aroma di nocciola a cui il consumatore è abituato, di conseguenza non sappiamo se un prodotto simile possa avere prospettive di mercato. Fortunatamente per la farina disoleata, derivante dall’estrazione, è ipotizzabile una tostatura successiva che potrebbe conferirle il profumo tipico del frutto. Al contrario, l’estrazione con pressa oleodinamica da frutti sgusciati e tostati (attualmente utilizzata da due produttori astigiani) permette di ottenere un olio dal flavour caratteristico e un panello che, come detto, può essere sfarinato e utilizzato in alcune preparazioni gastronomiche che per loro natura risultano prive di glutine. L’inconveniente di questo secondo procedimento è di natura economica, in quanto la macchina utilizzata ha un costo elevato (circa 50.000 euro) e per poterlo ammortizzare è necessaria una produzione consistente (almeno 1220 litri) sulla cui commercializzazione non esiste alcuna certezza. Per tale motivo, prima di proporre ai produttori di investire capitali più o meno consistenti, è necessario verificare qual è il mercato potenziale di questi prodotti anche alla luce di quanto ipotizzato al riguardo del possibile impiego di questa farina disoleata nella preparazione di alimenti senza glutine. E’ evidente che, in una situazione di questo genere, sarebbe necessaria un’azione di marketing volta ad aumentare la conoscenza dei consumatori rispetto a questi prodotti della lavorazione della nocciola.
Siamo vieppiù convinti che la ricerca delle alternative alimentari sia la sola strada, al momento percorribile, per raggiungere una sempre maggiore integrazione sociale del popolo degli intolleranti al glutine ma per far questo dovremo convincere gli altri (il popolo della pasta e della pizza) che è possibile, con un po’ di fantasia e buona volontà, vivere tutti insieme, naturalmente, senza glutine.
La speranza e l’auspicio è che le cose, un giorno, possano davvero andare così.
Hai mai pensato di utilizzare la granella di nocciole per le impanature? Ti suggeriamo di provare questa ricetta: Polpette di ricotta, prosciutto e nocciole!