Già nel 1827 il botanico Poiret nella sua “Storia delle piante d’Europa” ci dava un’idea senz’altro suggestiva di come apparivano a quei tempi, ma anche sino a metà del nostro secolo, le nostre vallate alpine dove al giorno d’oggi la coltura dominante è il mais da foraggio che ha oramai colonizzato tutti i terreni arabili delle nostre Alpi. Il Poiret ricordava che “…tra le nostre piante economiche ve ne sono poche che diano al paesaggio una nota più lieta; le campagne coperte di Grano saraceno assomigliano ad un vasto giardino di fiori bianchi e rosati, o variegati di verde, di rosso, di bianco, riuniti in diversi ciuffi sul sommo degli steli”. A prescindere dall’aspetto estetico, vale la pena di ricordare che il grano saraceno ha rappresentato per quasi cinque secoli un’importante fonte di sostentamento per le popolazioni montane delle Alpi.
Considerato solitamente un cereale, il grano saraceno (il cui nome botanico è Fagopyrum esculentum), a dispetto del nome, non appartiene alla famiglia delle graminacee bensì a quelle delle poligonacee. Viene quindi più propriamente definito uno “pseudo-cereale” tuttavia potremmo considerarlo un cereale ad honorem visto che, per gli usi alimentari a cui è destinato e per le sue proprietà nutrizionali, non ha niente da invidiare ai cereali veri e propri.
Probabilmente originaria dell’Asia, è una pianta spontanea nelle zone della Siberia e della Manciuria e la sua coltura si è propagata alla Cina nel X secolo mentre in Occidente, dove era sconosciuta, è stata introdotta durante il Medioevo. Diverse sono le ipotesi circa i modi di propagazione della sua coltura, tuttavia sembra probabile che siano stati i Turchi ad introdurre la pianta in Grecia e nella penisola balcanica. Da questa ipotesi deriverebbe il nome di Grano saraceno, cioè grano dei turchi o saraceni.
Le coltivazioni di grano saraceno si sono poi diffuse in forma massiccia nell’Europa nord-orientale mentre in Italia si è stanziata soprattutto in Sud Tirolo e Valtellina.
Rispetto alla farina di frumento, la farina di grano saraceno è priva di glutine e quindi è adatta all’alimentazione dei soggetti celiaci. Questo pseudo-cereale appare, dal punto di vista nutrizionale e dietetico, una vera manna. Infatti si distingue dai comuni cereali per l’elevato valore biologico delle sue proteine che è paragonabile a quello delle proteine della carne e della soia poiché contengono gli otto amminoacidi essenziali in proporzione ottimale, mentre i cereali “veri” (il frumento, la segale, l’orzo, il riso e il mais) contengono poca metionina e poca lisina di cui esso è invece ricco. Il grano saraceno è un alimento con caratteristiche nutrizionali ben equilibrate: è speciale per il contenuto vitaminico e in microelementi minerali utili al benessere umano, infatti è ricco di ferro, sali minerali (soprattutto manganese e magnesio) e vitamine B ed E. Questo risulta importantissimo per il celiaco che spesso si nutre in maniera non bilanciata, con tendenza ad assumere un eccesso di carboidrati facilmente assimilabili, con carenze di proteine, di folati e di fibre. Togliendo, infatti, dai formulati i cereali che contengono glutine e sostituendoli con fonti alternative di carboidrati (riso e mais, ad esempio) si crea un problema di ordine tecnologico, per mancanza di collosità, di elasticità e di tenuta, ed uno di ordine nutrizionale, per carenza di riboflavina, tiamina, acido piridossinico, acido folico, ferro, calcio, zinco, magnesio e selenio (sostanze tutte contenute invece nel grano saraceno). Un altro componente di cui è ricco, inoltre, il grano saraceno è la rutina, un composto in grado di prevenire la fragilità capillare.
Per quel che riguarda, infine, il contenuto di lipidi risulta ricco di acido linoleico e linolenico (i cosiddetti omega 3 e omega 6).
La coltivazione del grano saraceno, come dicevo, è stata una delle colture più caratteristiche della Valtellina. La tipica farina nera che se ne ricava è alla base di piatti quali i pizzoccheri, gli sciat e la polenta nera che per secoli sono stati preziosi alimenti per le popolazioni locali.
Non sappiamo con certezza quale fosse la produzione del grano saraceno nel passato poiché la granaglia ricavata era destinata prevalentemente alla produzione di farina per l’autoconsumo e quindi non esisteva un vero e proprio mercato. Già verso la fine del XIX secolo la produzione si era di molto ridotta, mentre nei decenni successivi le superfici e i coltivatori si erano dimezzati fino a giungere al quasi totale abbandono della coltura a causa della mancanza di mercato e della mole di lavoro necessario per la coltivazione fino ad arrivare ad oggi che la farina per la preparazione dei tipici piatti locali valtellinesi viene ricavata dalla macinazione del grano importato dalla Cina tramite una ditta olandese.
Infatti, nonostante la coltura sia scomparsa da decenni, la memoria storica del grano saraceno appare profondamente radicata nella tradizione culinaria delle vallate alpine dove se ne fa ancora largo uso per la preparazione di numerose specialità locali che sono state anche immesse nei circuiti della grande distribuzione alimentare e apprezzate da un gruppo sempre più largo di consumatori.
Nel nostro paese ci sono quindi le condizioni per la reintroduzione in coltura del grano saraceno in quanto esiste potenzialmente una “filiera” di utilizzatori, ancora di dimensioni modeste ma ben strutturata, che comprende mugnai, pastificatori e industrie per la produzione di sfarinati.
Un settore ancora poco sviluppato ma di notevole potenzialità è poi quello legato alla produzione di cibi salutistici: il grano saraceno si caratterizza infatti, oltre che per la sua componente proteica “nobile”, anche per la presenza di un particolare tipo di amido a più lenta digestione particolarmente indicato nella dieta dei diabetici. Infine, come già ricordavo, è stato osservato che il grano saraceno risulta perfettamente tollerato dai celiaci per cui la farina pura (cioè non miscelata con quella dei frumenti) può essere utilizzata per produrre paste, polente, dolciumi o prodotti da prima colazione che possono essere così assunti, senza pericolo, dagli individui intolleranti al glutine.