Un sovrano d’Inghilterra che sfugge ai sicari mandati dalla sua stessa corte e si rifugia in incognito proprio qui in Italia, in Valle Staffora, presso il pacifico eremo di Sant’Alberto di Butrio, nelle vicinanze del pittoresco Castello di Auramala, tutt’oggi perfettamente conservato. Ha l’aria di essere un’intrigante leggenda non vi pare? Ebbene non solo! Nonostante la storia ci racconti che questo personaggio così scomodo per la corona inglese sia sepolto in una tomba monumentale a Gloucester, in Inghilterra, prove storiche documentali dicono l’esatto contrario e cioè che il re inglese sia effettivamente morto qui… in Italia! Questa la tesi che la squadra dell’ “Auramala Project” con la sua crowd-based research vuole dimostrare. A coordinare il progetto è Ivan Fowler, membro dell’Associazione culturale Il Mondo di Tels di Pavia nonché autore di “Edward” un volume edito da Piemme Mondadori. Un romanzo storico questo, ambientato all’inizio del XIV sec, che ci fa viaggiare indietro nel tempo anche grazie all’accuratezza dello scrittore nel descrivere i costumi e le tradizioni del vivere quotidiano, a partire dalle usanze culinarie.
Di cosa si cibava Edoardo II lassù nell’eremo di Sant’Alberto? Sentiva forse la mancanza della tavola inglese?
Ebbene, le fonti documentano che Edoardo II amava moltissimo il pesce e i molluschi in particolare. Sulla sua tavola non mancavano mai granchi, spigole, sogliole e triglie che gli venivano consegnati in abbondanza dai porti di Dover e Sandwich in Kent. Ovviamente non disdegnava nemmeno la carne come riporta un resoconto della sua visita a York, nell’entroterra, in occasione del Natale del 1322. Pare che in quell’occasione consumò soprattutto carne di volatili, per noi di sicuro poco usuali, quali pavone, piccione e persino il cigno!
La pietanza di cui però andava ghiotto era, pensate un po’, l’anguilla. Pesce molto apprezzato perché veniva trasportato facilmente dal fiume al mercato ancora vivo mantenendolo in secchi pieni di erba bagnata; di sicuro era presente in abbondanza anche nei fiumi dell’Oltrepò Pavese, come pure lo storione e la trota. Quest’ultima al tempo veniva spesso conservata lasciandola marinare in un contenitore con abbondante aceto di vino ed erbe fresche, pratica che ha dato vita alla ricetta tuttora molto diffusa e apprezzata sia in Piemonte che in Lombardia della “trota in carpione” (prova a realizzare questa ricetta cliccando qui!).
Le ricette che ci rimangono di quest’epoca, però, si basano su ingredienti semplici, adatti sicuramente allo stile di vita modesto che il “re in incognito” seguiva presso l’eremo.
Se volete gustare dei sapori d’altri tempi eccovi allora la ricetta tipicamente natalizia della “pasta con àja”. Provatela! Fate una foto al risultato e condividetelo con noi sui social scrivendo #NATALEQUIDANOI: in questo modo parteciperete anche voi al nostro contest di Natale (dal 15 novembre al 15 dicembre). Per maggiori informazioni tornate alla homepage e leggete il regolamento… partecipare è semplicissimo!
PASTA E AJA’
Ingredienti
1 dose di pasta fresca, al naturale o con zafferano
300 g di noci sgusciate
2 spicchi di aglio
una manciatina di mollica
2 cucchiai di olio evo
sale e pepe
Procedimento
Ammorbidite il pane in acqua e strizzatelo. Lavoratelo in un mixer con le noci, l’aglio tritato e l’olio, sale e pepe, finché non risulti omogeneo. Stendete la pasta sottile e strappatela irregolarmente con le mani. Conditela e servitela con la salsa di noci.
Articolo a cura di I Viaggi di TELS
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