L’ostrica diventa ‘quatto stagioni’, mandando in soffitta la tradizione secondo la quale questi molluschi non si mangiano nei mesi senza la erre, da maggio ad agosto. Nessuna attesa quindi a settembre per il ritorno del mollusco, del quale, secondo un sondaggio della Federcoopesca, l’85% degli italiani penserebbe che sia un prodotto esclusivamente d’importazione, proveniente dalla Francia. Il motivo di questa ‘leggenda’ era legato non solo alla freschezza del prodotto, da consumarsi crudo e quindi più facilmente deperibile con le alte temperature dei mesi estivi, ma anche al periodo di riproduzione che coincide tra la primavera e l’estate. E proprio per permettere di mangiare ostriche tutto l’anno, negli ultimi anni si stanno diffondendo sul mercato le ostriche della specie Crassostrea gigas (le cosiddette “quattro-stagioni”), riconoscibile dall’umbone ricurvo.
Frutto di una studio condotto una quindicina di anni fa dall’Istituto Francese di Ricerca per lo Sfruttamento del Mare, il nuovo mollusco contiene nelle proprie cellule tre coppie di cromosomi, cosa che in natura non esiste, determinandone la sua sterilità, senza quindi periodi di riproduzione.
Un’ostrica dallo scontato successo commerciale perché queste ‘quattro stagioni’ non solo resistono meglio alle patologie dei molluschi ma vantano un periodo di accrescimento più rapido (due anni contro i tre di quelle naturali). Vantaggi anche per i consumatori, perché le ostriche non riproducendosi, non presentano il cosiddetto “latte”, il liquido seminale che ne blocca appunto la vendita proprio nei mesi estivi, quando la richiesta da parte degli appassionati aumenta.
Miti da sfatare quindi anche sulla provenienza delle ostriche, visto che Goro (Ferrara), noto centro di produzione per vongole e cozze, è sul trampolino di lancio anche per le ostriche, come spiega il biologo Edoardo Turolla che da 20 anni studia come migliorare l’allevamento. Nel 2015 sono stati prodotti 33 quintali di questi molluschi ma, secondo le previsioni, per il 2016 dovrebbero triplicare. “A Goro – spiega il biologo, ha sede l’unica realtà italiana di allevamento di ostriche che utilizza non solo novellame acquistato dalla Francia ma il seme prodotto in queste acque; tuttavia dalla primavera del 2017 dovremmo essere autonomi nella produzione di ostriche solo con il seme”.
Una produzione che avviene in mare aperto come per i mitili, utilizzando proprio una struttura pensata per l’allevamento delle cozze. “Anche il risultato, in termini qualitativi, è straordinario – spiega Vadis Paesanti, Presidente Federcoopesca-Confcooperative Emilia Romagna – le prime ostriche di Goro hanno già debuttato con successo in esclusivi wine bar di Milano per degustazioni di alto livello, ed è soltanto il primo passo”.
Fonte: Ansa- Federcoopesca
Articolo a cura di Alessandra Fabri
Ufficio Stampa Federcoopesca