Sirio, conosciuta anticamente come Stella del Cane, poiché facente parte della costellazione del Cane Maggiore, è la stella più brillante del nostro cielo a causa della sua vicinanza al nostro sistema solare. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, quindi, Sirio non è la stella più brillante dell’Universo, o almeno non in senso assoluto. In effetti non è possibile stilare una classifica di luminosità delle stelle, mancano ancora molte informazioni. Ci sono stelle anche 500 volte più luminose di Sirio, ma sono più lontane, quindi le percepiamo con una luminosità più debole.
Sirio era detta Seirios dai Greci, poi Sothis, traduzione ellenistica dell’egizio Sopdet.
Gli Egizi, tra il 4380 e il 2220 a.C., celebravano l’anno nuovo alla sua levata eliaca, ovvero alla sua prima apparizione, prima del solstizio estivo.
Poco dopo la sua comparsa, cominciava il benefico straripamento del Nilo che rendeva coltivabili le terre adiacenti. La previsione dell’inondazione era importantissima per il popolo, poiché gli permetteva di avere il tempo necessario per riporre al sicuro gli strumenti utili e ammassare le scorte di cibo.
Per questo suo ruolo “vendicativo”, Sirio fu paragonata a un cane da guardia e da questa similitudine nacque il nome di tutto l’asterismo di cui faceva parte, ovvero il Cane Maggiore.
Altro aspetto interessante è che fu identificata con l’anima di Iside, dea egizia raffigurata spesso come una donna seduta sul dorso di un cane, con una stella sul capo, recante la cornucopia, simbolo mitologico di cibo e abbondanza, e le spighe. I templi egizi che le erano dedicati venivano orientati sulla “sua” stella.
Ma a causa della precessione degli equinozi, Sirio perse nel 2200 la funzione di annunciatrice del solstizio. Verso la metà del I millennio a.C. si levava col sole verso il 24 luglio, segnando l’inizio del periodo più caldo dell’anno.
Esiodo evocava così la torrida stagione all’insegna di Sirio:
Quando il cardo fiorisce e la cicala canora
stando sull’albero l’acuto suo canto riversa
fitto da sotto le ali, nella pesante stagione d’estate,
allora più grasse sono le capre, il vino è migliore,
le donne più ardenti, ma sono fiacchi gli uomini
perché Sirio brucia la testa e i ginocchi
e secco è il corpo per via della vampa. Ma allora
è bello avere una roccia ombrosa e vino di Biblo
e una focaccia col latte e latte di capra che più non allatta,
e carne di giovenca nutrita nel bosco, che ancora non abbia figliato,
e di primi nati capretti; e bere il nero vino
sedendo all’ombra, saziato del tuo festino,
la faccia volta incontro al veloce soffio di Zefiro;
e d’una fonte che scorre perenne e pura
tre parti d’acqua versare, la quarta di vino.
Comanda agli schiavi che le sacre spighe di Demetra
trebbino non appena appare la forza d’Orione,
in luogo ben ventilato e su un’aia rotonda.
Misuralo bene e mettilo in orci. Poi quando
tutto il tuo nutrimento avrai bene riposto dentro la casa,
prendi uno schiavo privo di casa, e una serva, ma priva di figli,
a cercarti ti esorto: cattiva è la serva che ha figli;
procùrati un cane dai denti aguzzi, senza risparmio di cibo,
perché mai uno di quelli che dormon di giorno si prenda i tuoi beni.
Foraggio procurati e strame perché tu ne abbia
abbondante per i buoi ed i muli. E dopo
agli schiavi potrai far riposare le ginocchia e sciogliere i buoi.
Articolo a cura di Qui da Noi e del Planetario e Osservatorio Astronomico Cà del Monte
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