Articolo della dott.ssa Monica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari
e Food Blogger.
E-mail: info@bionutrichef.it
Blog: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
FB: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
IG: @bionutrichef
La storia dell’uomo è innegabilmente intrecciata a quella della sua alimentazione e il formaggio ne è una testimonianza evidente. Un alimento che ha accompagnato il percorso umano fin dalle epoche più remote: la scoperta della trasformazione del latte fresco in prodotti caseari a media e lunga conservazione può essere collocata infatti nel momento in cui l’uomo della Preistoria, da cacciatore e migratore diventa stanziale, dedito prima alla pastorizia e poi all’agricoltura.
Dal latte fermentato al formaggio
Il latte che avanzava (rispetto ai propri fabbisogni) veniva in un primo momento destinato alla preparazione di una bevanda ottenuta attraverso la fermentazione acida degli zuccheri del latte che Erodoto e Senofonte chiamavano komos e kumis, una sorta di yogurt liquido da bere. Lo yogurt vero e proprio invece sembra essere, con ogni probabilità, di origine anatolica dove prevalevano allevamenti bovini e caprini e il prodotto risultava meno ricco di sostanze grasse rispetto a quello ovino. La sua produzione si estendeva a tutti i Balcani e alle aree di influenza ottomana, dove la tradizione si è mantenuta fino ai giorni nostri.
Il formaggio è un alimento la cui lavorazione, nel corso del tempo, non ha mai subito sostanziali modifiche. Si tratta infatti di latte coagulato a cui viene tolto il siero. Era così allora, è così oggi. È chiaro che ai giorni nostri, per ottenere il prodotto che noi ben conosciamo ci vuole qualcosa di più. Il latte ovviamente è il punto di partenza e proveniente da più generi animali produttori: mucca, pecora, capra, bufala; viene fatto coagulare con l’aggiunta di caglio, ricavato generalmente dall’abomaso (il quarto stomaco) dei ruminanti lattanti ma per certe qualità di formaggio (o per decisione del casaro) viene utilizzato un caglio vegetale ricavato dal cardo.
A livello biochimico, il latte è un alimento completo formato, oltre che da una forte quantità di acqua, da caseina, albumine, grassi, lattosio etc. La proprietà di coagulare deriva dal fatto che la caseina, a contatto con il caglio, si raggruma e precipita imprigionando parte dei grassi, del lattosio e altri componenti. Il latte coagulato, definito anche cagliata, viene in seguito frantumato ovvero inciso con dei profondi tagli tramite appositi attrezzi di legno o di metallo. La cagliata così segmentata viene trasferita in grossi teli e fatta spurgare prima di essere sistemata nelle forme e quindi pressata. Durante queste operazioni, la pasta caseosa viene separata dal siero, il quale non viene buttato ma riutilizzato per ricavare dei sottoprodotti tra cui la ricotta. La salatura elimina le ultime parti di siero e favorisce la formazione della crosta dando inoltre al prodotto una maggiore sapidità. Può essere fatta immergendo il formaggio in salamoia (acqua e sale) oppure spargendo il sale direttamente sulle forme. La fase finale, riservata solo a quei formaggi che non si consumano freschi, è la stagionatura: un’operazione delicata e decisiva per la buona riuscita di ogni singola forma, alla quale concorreranno funghi e batteri, umidità e temperatura, in un sottile equilibrio che solo l’esperienza secolare è riuscita a determinare.
Storia del formaggio
Cibo antico quanto il latte, bisognerà attendere l’età greca per attribuirsi “un genitore e una data di nascita”. In un libro di diversi decenni fa viene scritto che nel 1480 a.C. un certo Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene, decise di ingraziarsi il genere umano facendogli dono dell’arte del cagliare il latte. Un suo allievo, Camble, re dei Lidi, inventò a sua volta la ricotta e il lattemiele. Ma già a suo tempo Virgilio, nelle Georgiche, si era premurato di farci sapere che Aristeo aveva appreso l’arte casearia dal centauro Chirone.
La scienza moderna, tuttavia, è incline a ritenere che il periodo neolitico non conoscesse l’alimento di cui trattiamo. Sarebbe stata nota, sì, la conservazione del latte mediante fermentazione acida ma il coagulo, conservato in recipienti di legno e rinnovato con latte fresco man mano che veniva consumato, non sarebbe stato sottoposto ai processi successivi che lo avrebbero trasformato in formaggio. In realtà non si sa quanto questa tesi possa reggere poiché l’addomesticamento degli animali lattiferi inizia già nel paleolitico superiore, dalle renne alle capre, alle pecore e ultime le mucche. Furono comunque capre e pecore il primo nucleo dell’economia legata all’allevamento zootecnico, mentre gli altri animali ricoprivano per lo più funzioni connesse al lavoro “aziendale”, al traino e all’aratro. Il gregge ovi-caprino che offriva latte, latticini, formaggi, carne e lana, era l’elemento cardine dell’alimentazione umana. E il paleolitico è anche l’età dei pastori nomadi.
Scorrendo nel tempo, si ha nota di una tomba egizia nei pressi della necropoli Saqqara, databile al terzo millennio a.C., dove tra i vari reperti alimentari figurava anche del formaggio che è stato ritrovato in una giara. Il sito fu scoperto per la prima volta nel 1885 ma la noncuranza la lasciò sprofondare di nuovo nelle sabbie del deserto. La necropoli fu riscoperta di nuovo nel 2010, insieme alla giara contenente la misteriosa sostanza. All’interno di una delle giare incastonate nelle mura portanti della necropoli, gli archeologi hanno osservato una massa biancastra solida, coperta da un panno. Gli scienziati hanno analizzato il reperto e gli esami hanno riportato che si trattava di un formaggio misto da latte non pastorizzato di mucca, pecora e capra, con una certa compattezza (quindi non come uno yogurt o un kefir) e che aveva un sapore molto acido.
Altro documento dello stesso periodo, più noto, è il “Fregio della latteria”, conservato al British Museum di Londra. È un bassorilievo sumerico che riassume le fasi salienti della produzione del formaggio a partire dalla mungitura: gli addetti alle operazioni erano dei sacerdoti.
Nell’antica Grecia il formaggio era quasi esclusivamente di pecora e di capra, essendovi una curiosa avversione per il latte di mucca perché era considerato malsano. Oltreché protagonista di dissertazioni tra i buongustai d’allora, il formaggio è addirittura oggetto di guerre dietetiche tra i fautori della cucina ricca e quelli della cucina povera, tra epicurei e pitagorici. Una carta dei formaggi dell’epoca può elencare, oltre al formaggio fresco e quello da grattugia, i meno usuali formaggi nel vino, formaggi con la salsa di miele, formaggi verdi con erbe aromatiche, formaggi abbrustoliti, etc. Il formaggio era già consumato tanto a tavola che in cucina, quale condimento. A tavola rientrava sia negli antipasti sia nei cibi destinati a chiudere il pranzo. Talvolta poteva essere una delle portate principali, e non solo per i soldati e i marinai che avevano il formaggio secco come cibo di dotazione. In cucina andava a insaporire molte vivande, ma prevalentemente dolci, torte e biscotti. Così dalla myma, piatto di carne condito con fette di formaggio abbrustolito, si andava ai kribana, torte a forma di mammella, al tyros en meliti, formaggio con miele, al thyro, antenato del pudding. Nella cucina povera, invece, il formaggio inteso come condimento era ferreamente vietato, perché si utilizzava soltanto olio d’oliva. I cuochi Solone d’Acarno e Damasceno di Rodi bandirono una vera e propria crociata contro il pestello, un condimento a base di aceto, formaggio, semi ed erbe aromatiche. Ricordiamo comunque che è dal greco formos, nome del canestro destinato alla produzione del formaggio, che nell’alto Medioevo deriverà formaticum, da cui l’attuale parola che indica questo alimento.
Le conoscenze che i Romani ricavarono dai Greci e dagli altri popoli con i quali vennero a contatto non provocarono particolari mutamenti nel quadro caseario già delineato. Neppure l’introduzione della bufala, intorno al IV secolo a.C., diede immediato avvio alla produzione di formaggi a base di tale latte. Nel periodo repubblicano furono sempre pecore e capre a signoreggiare indisturbate. La mucca si farà protagonista solo più tardi, quando cesserà di essere considerata esclusivamente animale da lavoro ed eventualmente da carne. Anzi, in quel momento verrà sgravata di parte del lavoro per ottenerne maggiori quantità di latte. Neppure il burro, per quanto ben conosciuto, riuscirà ad entrare in cucina: resterà ancora confinato tra i prodotti medicamentosi, in particolare come crema emolliente. Con i Romani, però, l’arte casearia si fa attività economica ben precisa: il formaggio diventa una delle produzioni essenziali dell’azienda agricola ben condotta. Tra le specialità esistevano formaggio fresco, il caseus mollis o caseus recens, e formaggio stagionato, per il quale erano stati messi a punto metodi di recupero per quando diventava troppo vecchio e duro. Uno di questi metodi consisteva nel togliere l’eccesso di gusto salato ponendo il formaggio a macerare in aceto aromatizzato con timo. Il formaggio inoltre era quasi sempre affumicato, come accadeva non soltanto a prosciutti o salsicce, ma anche al vino, in quanto conservati spesso nelle vicinanze dei bracieri. Ma quando i Romani consumavano i loro formaggi? Erano intanto cibo di tutte le classi sociali. Per i poveri era indispensabile: abitavano nelle insulae, nelle quali era impossibile cucinare in casa ed erano quindi costretti a ricorrere a pasti freddi a base di olive, fichi e, appunto, formaggio. Esso rientrava anche nella razione del legionario insieme a grano, montone, lardo e vino. In genere, lo si consumava durante tutti i pasti: al mattino, bevendo vino o limonata acetica accompagnato da pane inzuppato oppure sfregato di sale, aglio o altro condimento; a pranzo o a cena, sia da solo, sia come companatico, sia come ingrediente per svariate preparazioni.
Dopo il crollo dell’Impero Romano, per quanto riguarda i formaggi, si possono registrare due fatti. Il primo è l’incontro tra le tecniche casearie della civiltà greco-romana e quelle dei popoli cosiddetti barbari, allorché essi si affacciarono al di qua delle Alpi. Questo incontro, a sua volta, può essere contrassegnato da due aspetti: lo sviluppo dell’allevamento del bestiame vaccino e quindi l’affermazione, lenta ma costante, del formaggio di mucca rispetto a quello di capra o pecora, e il cospicuo contributo recato dall’ideologia economico-agricola proprio del monachesimo con la nascita del caseificio in termini che già si possono definire industriali e le conseguenti invenzione e sviluppo di strumenti e macchine i cui principi trovano tuttora impiego. Il secondo fatto è che, proprio nel momento più buio della crisi, alla fine del IV secolo d.C., Rutilio Tauro Emiliano Palladio scrive la sua Agricoltura o de rustica, nella quale ribadisce tra le altre cose i canoni da osservare nella produzione del formaggio divenendo un costante di riferimento per quasi tutto il Medioevo.
Nella storia del formaggio però l’evento più rilevante si avrà solo nel 1477, quando Pantaleone da Confienza, medico Vercellese, scriverà il primo vero trattato enciclopedico caseario col titolo di Summa laticiniorum. Due sono le parti che si ritengono più utili: nella prima, Pantaleone descrive minuziosamente le forme del tempo mentre nella seconda l’autore riporta la descrizione dei formaggi italiani che ebbe occasione di conoscere. Troviamo così il marzolino, prodotto ancora oggi in Toscana nel Chianti, il piacentino, che a quel tempo era famoso almeno quanto il parmigiano, le robiole del Monferrato e della Lomellina, i formaggi della Valle d’Aosta fra cui la fontina, il serass (ovvero la ricotta) e molto altro ancora.
In campo storico, moltissime altre cose sarebbero da raccontare, come l’inventario della cascina di Santa Maria di Bonistallo, presso Poggio a Caiano, di proprietà di Lorenzo de’ Medici, nel quale si ritrova tutto un perfetto armamentario caseario. In quella cascina si ricava va a piena autosufficienza per tutta Firenze in materia di formaggi, non solo, ma si utilizzavano, come del resto avviene Oggi, i sottoprodotti caseari per l’allevamento dei maiali.
Nonostante l’industrializzazione abbia invaso anche il mondo caseario, ancora oggi l’arte del casaro sta tutta in un delicato equilibrio: produrre un formaggio perfetto, con la giusta ricchezza di sapore, la consistenza più appetitosa e l’aroma più delizioso. Il piacere del formaggio è il piacere della varietà, dei contrasti e delle sfumature: c’è un formaggio adatto per ogni palato e per ogni occasione, dai tipi più delicati si sale, attraverso tutta una gamma di sapori ricchi, morbidi e burrosi, fino alle vette dei formaggi più forti e piccanti. Vi è poi una straordinaria scelta di colori per appagare anche l’occhio: bianco avorio, bianco perlaceo, bianco porcellana, bianco beige, bianco argento, giallo paglierino, giallo oro, giallo arancio, ocra, tutte le sfumature del verde e del blu nelle venature dei formaggi erborinati, le croste rosse e quelle nere dei formaggi olandesi, le foglie che avvolgono alcuni formaggi, la cenere che ne ricopre altri…
Caratteristiche nutrizionali
Il formaggio è un alimento particolarmente adatto a soddisfare le esigenze di crescita degli adolescenti, di mantenimento e di protezione degli adulti fino alla tarda età. A determinare queste caratteristiche concorrono soprattutto l’elevata concentrazione di proteine e la buona presenza di fosforo, calcio e vitamina D: in media, 100 g di formaggio molle da tavola soddisfano il fabbisogno giornaliero per il 30-40% di calcio e per il 12-20% di fosforo. Inoltre il formaggio contiene una buona percentuale di grassi: si tratta quindi di un alimento ad alto potere calorico. 100 g di formaggio con il 20% di grasso e 16% di proteine forniscono circa 245 kcal, mentre 100 g di formaggio con il 32% di grassi e 19% di proteine ne danno circa 370. Il coefficiente di digeribilità delle proteine del formaggio è abbastanza elevato (97% circa), come pure quello del grasso (95% circa): questi numeri aumentano con la maturazione del formaggio, quindi i prodotti stagionati risultano più digeribili dei freschi. È stato riscontrato inoltre che l’abbondanza di acidi grassi liberi in alcuni formaggi svolge un’azione antibatterica nei confronti dei microrganismi dannosi presenti nell’intestino.
Tuttavia, la presenza di materie grasse ha costituito per molto tempo un deterrente alimentare per i consumatori a causa dei propri valori di colesterolo nel sangue in aumento. Se è vero che la presenza dei grassi nella dieta giornaliera deve essere accuratamente ponderata, è stato comunque scientificamente dimostrato che il tasso di colesterolo non è sempre direttamente legato alla quantità ingerita con gli alimenti, compreso il formaggio. Il grasso del formaggio, come già detto, risulta di facile digeribilità grazie al suo basso punto di fusione: l’abitudine di riservare la chiusura del pasto al formaggio è da collegare all’effetto stimolante che esso esercita sui succhi preposte la digestione.
Quindi una moderata assunzione risulta positiva se non addirittura un toccasana per le benefiche influenze sulla struttura ossea e sui tessuti in generale. I formaggi del tipo “grana”, caratterizzati da una struttura granulosa della pasta, mettono d’accordo oggi golosi e specialisti della salute perché sono davvero gustosi e vengono anche raccomandati nell’alimentazione delle gestanti e dei bambini, dei convalescenti e degli anziani, oltre che nelle diete suggerite per la prevenzione dell’osteoporosi.
Il valore nutritivo del formaggio, comunque, non rispecchia esattamente quello del latte a causa delle numerose trasformazioni che il secreto mammario subisce nel corso della caseificazione e della maturazione. Per esempio, durante la fuoriuscita del siero dalla cagliata, viene allontanata (e quindi persa) una parte delle vitamine idrosolubili. Per contro, è vero anche che i batteri lattici e lieviti presenti nel formaggio provocano la sintesi di nuove vitamine appartenenti al gruppo B. Comunque recentemente, grazie a un’importante innovazione tecnologica, è possibile aggiungere il siero che residua dalla lavorazione di un formaggio al latte destinato a una successiva caseificazione, aumentando così la resa della trasformazione del latte in formaggio e conseguentemente il valore biologico delle proteine che tende ad avvicinarsi a quello del latte.
I formaggi, inoltre, soprattutto quelli freschi, a breve e a media maturazione, contengono una notevole carica microbica di fermenti vivi che contribuiscono a mantenere in buona forma la flora intestinale. Il formaggio inoltre è l’alimento più adatto per integrare una dieta scarso contenuto di proteine animali e di calcio come un’alimentazione povera di carne e pesce: è quindi buona norma associarlo piatti di verdure.
Il beneficio dei formaggi per qualità nutrizionale è quindi largamente dominante rispetto ai rischi che la letteratura scientifica ha debitamente sempre registrato come ad esempio la presenza (peraltro in un numero limitato di formaggi) di istamina e tiramina o per altri versi il contenuto in colesterolo e quest’ultimo, in ogni caso, non eccede la misura presente in altri prodotti animali. Vale sempre, In definitiva, la massima della medicina Salernitana: caseus et panis bonus cibus est.
Bibliografia:
ALMA. La scienza degli alimenti. PLAN, Milano 2013
Bini D. Il formaggio. Sagep, Genova 2003
Cappelli P, Vannucchi V. Principi di chimica degli alimenti. Conservazione, trasformazioni, normativa. Zanichelli, Bologna 2016
Ministero Agricoltura e Foreste. L’Italia dei formaggi DOC. Un grande patrimonio. FrancoAngeli, Milano 1992
Sicheri G. Latte, yogurt, burro, formaggio: produzione, valore alimentare, degistazione. Hoepli, Milano 1998
Slow Food. Il gusto del formaggio. Conoscere le forme del latte. Slow Food Editore, Bra 2012
[/cm